«Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente». Purtroppo la ormai proverbiale frase di Mao non fotografa bene quello che sta accadendo in questi giorni attorno al divieto di pubblicità dell’azzardo. Questa confusione è deprimente, e coinvolge tanti, a partire da chi il divieto ha voluto e approvato un anno fa, cioè il Governo giallo-verde e in particolare la componente M5s che quel divieto aveva voluto inserire nel contratto di governo con la Lega. Una confusione che rischia di favorire solo chi in questi anni si è arricchito sull’azzardo e sui danni che provoca. Il divieto di pubblicità era fortemente temuto da questa lobby che si è opposta in tutti i modi, schierando truppe di esperti, esponenti dello sport, big di Confindustria. Tutto previsto. Molto meno la confusione di questi giorni.
Proviamo a mettere in fila alcuni punti fermi. Il 9 agosto 2018, il “decreto dignità” del 12 luglio precedente, è convertito in legge. All’articolo 9 prevede il divieto totale e assoluto di pubblicità dell’azzardo, che avrebbe dovuto entrare in vigore un anno dopo, ossia il 14 luglio 2019. Come previsto dal decreto, il 26 aprile 2019 Agcom pubblica le linee guida di applicazione della norma e classifica alcune tipologie come “informazione” e non come “pubblicità” (ad esempio le quote scommesse date durante le partite e le trasmissioni sportive). Già sulla base delle indiscrezioni e poi ancor di più dopo la pubblicazione, il mondo associativo lancia l’allarme sullo stravolgimento della norma. Sulle pagine di “Avvenire” ben due volte il sociologo Maurizio Fiasco, tra i grandi esperti di azzardo, spiega le criticità delle linee guida e come, di fatto, il divieto totale di pubblicità sia aggirato. E il Governo? Tace. Anzi il 5 giugno la commissaria Agcom Liberatore spiega che «non ha fatto pervenire considerazioni critiche» sulle linee guida che l’Authority stava elaborando. Improvvisamente dopo il 14 luglio, col divieto in vigore nella veste “edulcorata”, scattano le proteste politiche e governative. Fuori tempo massimo.
Sembra il gioco delle parti. È stata fatta una norma ma gli effetti sono vanificati. Norma importante, tra quelle più richieste dal mondo “noslot” per combattere Azzardopoli e prevenire le azzardopatie. Ma la norma è fatta male fin dall’inizio. Responsabilità dei politici o dei tecnici? Di chi l’ha scritta o di chi non ha vigilato? Ma ancora una volta, come spesso accade per l’azzardo (tanti i precedenti di norme fatte male più o meno coscientemente), è andata così.
Il ministro Di Maio, “padre” del decreto, accusa l’Agcom. L’Agcom replica, anche con una lettera al direttore di questo giornale, sostenendo che sono state elaborate interfacciandosi coi Monopoli – come indicato dal Governo – che fanno il loro lavoro ma anche “difendono” un gettito, che non è poco, più di 11 miliardi che entrano nelle casse dello Stato dalle tasse (prevalentemente) sui poveri che è l’azzardo. Un gettito che fa comodo anche a questo Governo che per coprire parte dei propri provvedimenti “bandiera” come il reddito di cittadinanza e quota 100, ha aumentato le tasse su slot e vlt. E infatti le entrate nei primi sei mesi dell’anno sono state superiori di quasi il 10% rispetto allo stesso periodo del 2018, sicuramente effetto dell’aumento della tassazione in un settore che nulla produce, molto distrugge ma non conosce crisi.
Anche perché, dopo il divieto della pubblicità, di azzardo non si è più parlato e dal governo non si hanno notizie della tanto attesa riforma complessiva che finalmente riduca l’offerta di azzardo. Insomma il solito pecunia non olet e fa molto comodo. E ora? Il governo batta un colpo, altrimenti il sospetto di coda di paglia sarebbe legittimo. Non basta, come fa Di Maio, accusare le lobby o annunciare ricorsi al Tar, ormai fuori tempo massimo. Serve un nuovo provvedimento, chiaro e netto, che eviti pasticci e pastette. C’è un precedente che aiuta, quello del divieto della pubblicità del tabacco. Allora non ci furono scappatoie. Addirittura si vietò di scrivere sui pacchetti di sigarette a basso contenuto di nicotina la parola “light”, leggere, e i numeri che riportavano tale contenuto. Era informazione ma la si ritenne una forma di pubblicità che incentivava il fumo.
Ma, si dirà, l’azzardo è altro. Non è vero. Prima il decreto Balduzzi e poi un decreto del 2017 del presidente del Consiglio Gentiloni, hanno inserito nei Lea (i livelli essenziali di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini) anche le cure per il gap, il gioco d’azzardo patologico, l’azzardopatia. Viene dunque sancito che l’azzardo fa male, fa ammalare, è un problema sanitario e sociale. Come il fumo. Il divieto della pubblicità dei prodotti del tabacco risale al 1962 e fu un’iniziativa volta a tutelare la salute. Un divieto secco. Torniamo a chiederlo: perché non ripetere ora quel divieto secco con l’azzardo? Potrebbe prendere un’iniziativa la responsabile della Salute, Giulia Grillo. Affrontando finalmente il tema dell’azzardo non più solo come tema economico, ma come problema sanitario e sociale. Non è più il tempo di gelosie, di medaglie da appuntarsi sul petto. Prima di tutto la salute dei cittadini, la tutela delle persone e delle loro famiglie.
Basta un decreto. Ma fatto bene, chiaro, senza se e senza ma, senza aree grigie o in ombra, senza cedimenti e favori più o meno palesi ai signori di Azzardopoli. Solo così sarà un vero stop alla pubblicità. E poi si metta davvero in campo una riforma complessiva, coinvolgendo il mondo associativo, senza timore di perdere qualche miliardo di tasse. Perché quello che i cittadini non butteranno più in slot e scommesse lo utilizzeranno meglio e, perché no, anche in consumi veramente utili. E questo vuol dire anche gettito fiscale. Ma questa volta sarebbero soldi diversi, davvero pecunia che non puzza.