mercoledì 31 luglio 2019
Il Mise si è mosso tardi, i concessionari mirano a bloccare del tutto le blande linee guida dell'Agcom. Il rischio che resti il Far West degli spot. E i Monopoli si ritagliano un ruolo nei controlli
Azzardo, per ora gli unici ricorsi al Tar sono quelli dei gestori
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C’è chi i ricorsi al Tar li annuncia e chi li presenta. È un’altra lezione che si ricava dalla paradossale vicenda del divieto alla pubblicità del gioco d’azzardo, messo nero su bianco nel decreto-dignità dell’estate 2018 e scientificamente eluso dalle "linee-guida" deliberate dall’Agcom lo scorso 18 aprile. Ad annunciare il ricorso al Tar contro il regolamento dell’Autorità è stato, l’altroieri, il ministro Luigi Di Maio, inviperito perché il "divieto tombale" è stato aggirato con la distinzione tra «pubblicità» e «informazione», ombrello sotto il quale gli operatori del settore si potranno comodamente rifugiare.

A presentarli davvero, i ricorsi al Tar del Lazio, sono stati, lo scorso 25 giugno, l’Ascob (Associazione dei concessionari del Bingo) e il "Bingo star" di Rovigo. E sono solo i primi due ricorsi, altri operatori stanno aspettando che vengano erogate le prime sanzioni. Manco a dirlo, la posizione dei concessionari è del tutto opposta a quella di Di Maio: se il ministro ritiene che le linee-guida Agcom abbiano tradito il senso del decreto, gli operatori dell’azzardo sostengono invece che l’indirizzo dato dall’Autorità per le comunicazioni sia punitivo e causi loro un danno economico. Se passasse questa posizione, salterebbe anche il tenue quadro regolatorio dell’Authority e resterebbe l’attuale far west.

Il 25 giugno, dunque. Di Maio era impegnato in un duro scontro con l’avversario interno Alessandro Di Battista. Ma era quello l’ultimo giorno utile per impugnare le linee-guida dell’Agcom. La delibera dell’Autorità, infatti, è stata pubblicata sul sito il 26 aprile: da lì è partito il conto del 60 giorni canonici per il ricorso al Tar. A meno di cavilli giuridici che il Mise dovrà essere bravo a trovare, la minaccia di un ricorso del ministero è giunta tardiva: al dicastero di Di Maio dovevano darsi una mossa più di un mese prima. Ma la mancata tempestività nel presentare un ricorso contro linee-guida palesemente in contraddizione con lo spirito del decreto-dignità è solo l’ultimo dei buchi che il Mise deve spiegare. La consultazione pubblica dell’Agcom, preliminare alla stesura delle linee-guida, è stata avviata il 10 dicembre 2018, quasi otto mesi fa. La delibera con le linee-guida, invece, è del 18 aprile, circa tre mesi e mezzo fa. Tempo per intervenire ce n’era. E siccome ne è passato troppo, di tempo, resta quasi un’unica soluzione: un nuovo decreto, impresa ardua dato il clima tra M5s e Lega.

Le domande sono lecite. C’è stata un’azione istituzionale del Mise per verificare - pur nel rispetto dell’indipendenza dell’Authority - quale era la direzione che si stava prendendo? E perché, per indignarsi, si è atteso che delle linee-guida si accorgessero gli organi di stampa? Fonti dell’Agcom riferiscono che dal ministero si sono limitati ad un semplice scambio di mail tecniche. Mentre non sono protocollate iniziative e interlocuzioni specifiche del sottosegretario con delega ai Giochi, il pentastellato Alessio Villarosa. Se ci sono documenti che attestano un pressing di Mise e Villarosa sull’Agcom per la piena applicazione delle norme del decreto-dignità, andrebbero tirati fuori.

Di certo hanno lavorato con l’Authority i Monopoli, che rispondono al ministero dell’Economia. E il Mef, per "mestiere", è sensibile al tema delle entrate. Agcom e Monopoli ora stanno pensando a un protocollo per la vigilanza sulle linee-guida. Il motivo ufficiale è che l’Agcom non ha il radicamento per arrivare a controllare bar e tabacchi. Ma già sorge un nuovo dubbio: non sarebbe più corretto, dato il tema, che l’Autorità si appoggiasse, per la vigilanza, non a un ente "di cassa" ma, ad esempio, ai comuni, alla Salute e alle Asl?

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