venerdì 19 giugno 2009
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Prima delle elezioni si è spesso sottolineata l’imprevedibilità dell’Iran, ma certamente nessuno poteva immaginare l’evoluzione di questi giorni. L’apertura e la liberalità delle ultime fasi della campagna elettorale hanno ridestato speranze e riattivato la passione politica nella società civile più avanzata e matura del Paese. Ora il leader supremo, l’ayatollah Khamenei, si trova intrappolato fra l’impossibilità di fatto di sconfessare il presidente e le forze che lo sostengono ( ultraradicali, bassij, parte dei militari e dei pasdaran) e una protesta per i sempre più evidenti brogli che non si placa e che trova il sostegno anche di importanti esponenti della nomenklatura religiosa. Senza dubbio l’esito di questo confronto avrà conseguenze a livello non solo interno, ma influenzerà tutte le politiche e le offerte di dialogo avanzate dalla comunità internazionale e dagli Usa in particolare. Nei circoli politici di Washington sta diventando, infatti, sempre più evidente il disagio per la linea comprensibilmente guardinga di Obama, giudicata troppo arrendevole. Cresce, e non solo fra i repubblicani, il desiderio di rimarcare con durezza la mancanza di credibilità di Ahmadinejad, il « falso presidente » . Il Medio Oriente, tuttavia, è purtroppo pieno di esempi di elezioni truccate. Perché il caso iraniano è così diverso da quelli scatenati dalle manipolazioni avvenute in altri Paesi? La risposta sta nella peculiarità dell’Iran e nella volontà dei creatori della Repubblica islamica di instaurare una sorta di sistema duale. Da una parte organi politici non elettivi in cui risiede il cuore del potere, nei quali si viene di fatto cooptati, dall’altra gli istituti ( parlamento, presidente) scelti dal popolo. E la partecipazione popolare ai momenti elettorali, voluta dallo stesso Khomeini, è sempre stata considerata un elemento decisivo. Fintanto che nel Paese si è mantenuto il fervore rivoluzionario, questo sostegno non è mai veramente mancato, come dimostrato dal numero enorme di volontari per il lungo, sanguinoso e insensato conflitto con l’Iraq ( 1980- 88). Poi ha cominciato a manifestarsi una crescente stanchezza – accompagnata da disaffezione e rabbia – che è culminata nel sostegno al movimento riformista capitanato dal presidente Khatami fra il 1997 e il 2005. È stato proprio per impedire che Khatami trasformasse il paese in senso veramente liberale che Khamenei ha favorito una crescente manipolazione dei meccanismi elettorali, impedendo la candidatura di migliaia di riformisti a tutti i livelli elettorali ( locali e nazionali) e favorendo l’ascesa di una nuova generazione di ultraradicali. Sono gli uomini che stanno dietro ad Ahmadinejad, molto meno tolleranti verso il dissenso e molto più spregiudicati nelle loro azioni. La possibilità di una sconfitta elettorale che ne avrebbe ridotto il potere sembra avere favorito la scelta di una manipolazione massiccia – non ancora dimostrabile con certezza, ma sempre più probabile. Questo allontanamento da un principio cardine della Repubblica islamica svilisce però la particolarità del sistema, e rende l’Iran un regime ancora più oppressivo e rigido. E invece, fino a pochi anni fa, la capacità dei vertici di controllare le profonde divergenze fra fazioni si era basata proprio sul sapiente uso di un certo grado di tolleranza e nella concessione di spazi di partecipazione democratica. Si trattava di una sorta di elasticità strutturale, in grado di attutire le ' scosse telluriche' sociali e politiche in una nazione altamente sismica ( e non solo geologicamente). Questa scelta del regime è a lungo termine pericolosa. Khamenei, per quanto riluttante, potrà anche decidersi a far sparare sugli studenti ( come faceva lo Scià), la Repubblica islamica potrà pure apparire senza alternative credibili ( come in effetti sembra oggi) e la popolazione non pronta a un confronto duro con gli ultraconservatori, ma anche Mohammad Reza Pahlavi era considerato l’autocrate più forte e inattaccabile del Medio Oriente. E fu proprio la rigidità del sistema che alla fine, nel 1978, trascinò la monarchia imperiale al tracollo. A Teheran e a Qom, molti fra gli attuali detentori del potere lo ricordano bene.
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