Nell’angolo più lontano del reclusorio, una decina di prigionieri fissa il muro. Tra le centinaia di ammassati senza neanche spazio per dormire, quelli sono gli unici rivolti verso l’intonaco scrostato, testimone muto di migliaia di vite abusate. E occorre ingrandire l’immagine, fino a sgranarla, per scoprire che stanno pregando, vicini a una candela accesa, ai piedi di una croce.
Sono cristiani d’Africa, probabilmente eritrei in fuga da una di quelle guerre che oramai quasi solo Avvenire con Paolo Lambruschi racconta. Avvolti in coperte e stracci, sono spalla a spalla, come fratelli nella cattiva sorte che in quella croce sperano ancora.
Non sappiamo altro. Ma sappiamo oramai abbastanza. Sono tutte vittime del rastrellamento di dieci giorni fa. Quelli che Medici senza frontiere ha trovato con ferite da pugnalate, sprangate, colpi d’arma da fuoco. Eccolo il frutto dei memorandum d’intesa tra Italia e Libia, tra La Valletta e Tripoli, mentre Bruxelles continua fingere di non sapere. Altro che distanziamento per Covid e rispetto dei diritti umani.
Non c’è sangue né morte in questa foto arrivata fortunosamente e consegnata al tam tam dei profughi. Ma per la prima volta uno scatto ci mette nella posizione dei sorveglianti. Chi è riuscito a fermare quel momento sembra appostato come il tiranno Dionisio, che secondo la leggenda rinchiudeva i prigionieri in una grotta e lui, accovacciato in una cavità superiore dell’antica Siracusa, li osservava e ascoltava di nascosto.
E’ come se a miglia e miglia di distanza quell’immagine esalasse il cattivo odore e ci lasciasse udire le voci di mille dialetti del Sahara. Nell’indistinta massa di esseri umani, materassi lerci, bacinelle per le deiezioni, teste che sbucano dalle coperte, kit di sopravvivenza con il simbolo delle Nazioni Unite, quel gruppo di cristiani è la nota fuori spartito. Una foto dall’inferno come ne arrivano tante dalla Libia. Ma laggiù, nel girone dei prigionieri incolpevoli, una piccola candela accesa in pieno giorno è una luce potente.
In quella immagine sembra di riascoltare la preghiera degli 11 ragazzi cristiani e del loro amico musulmano fatti annegare durante il respingimento illegale della “Strage di Pasquetta”, nel 2020. Come se i prigionieri cristiani delle mafie libiche legittimate dal cinismo europeo, stessero sgranando le parole di Josepha, la ragazza camerunense salvata nel 2018 da Open Arms e derisa dalla stampa neofascista. Unica sopravvissuta, mentre era alla deriva, di notte si faceva forza cosi: "Padre, tu sei mio Padre. Io so che tu sei qui e so che niente è impossibile per te. Non lasciarmi qui. Io non ho paura".