mercoledì 20 aprile 2011
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La fiamma della candela è il simbolo u­niversale della fragilità umana, della vita esposta alle incognite del giorno. Ma è anche, e non a caso, una delle icone più eloquenti dello spirito di Pasqua, luce che spezza il buio e illumina la rinascita del­lo spirito. Nessun "logo" poteva quindi risultare più degno della Giornata di pre­ghiera e digiuno che la Masihi Foundation ha proclamato per oggi in favore di Asia Bibi, 40 anni, pakistana, sposa e madre di tre figli, la donna cristiana sulla quale pende dal novembre 2010 una condanna capitale per blasfemia. Accendere una candela e dire una preghiera speciale per la sorella minacciata di morte è la mis­sione speciale per oggi di ogni cristiano del mondo.La Masihi Foundation è una fondazione dei cristiani del Pakistan che interviene presso le comunità più povere per alle­viare i bisogni, promuovere i diritti civili e difendere le minoranze. È anche l’or­ganismo che sostiene le spese legali del­la famiglia di Asia Bibi, di modestissime possibilità. Solo chi conosce molto bene il Paese aveva già sentito nominare la Fon­dazione, eppure il suo appello si è diffu­so con la velocità del lampo. Tutte le dio­cesi cattoliche, non solo quelle del Paki­stan, hanno aderito all’iniziativa e oggi il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo in­terreligioso, pregherà per Asia Bibi e per le vittime della legge sulla blasfemia (che dal 1986 al 2010 ha provocato, oltre a cen­tinaia di processi e condanne al carcere, anche 43 casi di uccisioni extragiudizia­li) durante una messa celebrata nella cap­pella del Parlamento italiano.Una mobilitazione, si può dirlo dalle co­lonne del giornale che da mesi tiene al­ta l’attenzione su Asia Bibi, che dimostra due cose. La prima è questa: con la pro­pria sofferenza, non da tutti patrocina­ta con la dovuta energia, questa giovane donna ha contribuito a far luce sul cari­co di discriminazioni e persecuzioni che i cristiani devono quotidianamente af­frontare non solo in Pakistan ma in al­meno altri 60 Paesi. La comunità cri­stiana mondiale non ha dimenticato A­sia Bibi, al contrario: la sostiene con la pressione dell’opinione pubblica e con lo strumento della preghiera, dello spi­rito in azione. Il modo più efficace per e­sprimere non una politica (che occorre, e andrebbe anzi intensificata) e non so­lo una solidarietà (doverosa e necessa­ria), ma piuttosto una perfetta identifi­cazione nel Signore, la forma suprema della fratellanza.In questo modo, inoltre, i cristiani di tut­to il mondo mostrano ancora una volta il loro sguardo limpido e costruttivo ver­so le nazioni e le società in cui si trova­no a essere minoranza, spesso mino­ranza offesa. La battaglia per la vita di A­sia Bibi è una battaglia di civiltà a favo­re di tutto il popolo del Pakistan, come avvertono i politici più attenti di quello stesso Paese. Lo sanno il presidente al-Zardari e il premier Raza Gilani, ma lo sa­pevano Salman Taseer, governatore del Punjab assassinato per la sua sensibilità al caso, e Shabhaz Bhatti, ministro per le Minoranze trucidato da una com­mando di integralisti islamici. Lo stesso sguardo che ha improntato la giornata di preghiera che la Conferenza episco­pale italiana, raccogliendo una preoc­cupazione di Benedetto XVI, ha dedica­to nella prima domenica di Quaresima alle vittime delle tensioni nei Paesi del Medio Oriente, implorando «riconciliazione, giustizia e pace» per tutti i popoli del­la regione.C’è tutto questo sul volto di Asia Bibi. L’angoscia e la speranza, il dolore pre­sente e la consolazione di una prospettiva aperta agli altri e sul futuro. A­dottare Asia Bibi signi­fica credere che ri­conciliazione, giusti­zia e pace possono es­sere non solo attese ma anche costruite.
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