Caro direttore,
scrivo in merito alla lettera del signor Giancarlo Politi, pubblicata su “Avvenire” il 14 marzo e a cui lei ha dato risposta («Ciò che il Papa e il predecessore testimoniano a Chiesa e mondo»). Rimango sempre perplesso di fronte ai poco gentili epiteti che i fratelli in Cristo si riservano l’un l’altro. Colui che, nel manifestare dubbi e preoccupazioni sull’attuale pontificato, tracima in irriguardosi insulti e in accanito odio nei confronti della persona del Santo Padre deve essere ammonito. Per cominciare privatamente e, in caso di recidiva, anche pubblicamente, ottemperando così al criterio evangelico (Mt 18,15-18). Ciò detto, è evidente che il contegno di chi taccia il suo prossimo di essere «criticone, superbo, pieno di “ego”» è un surplus che risulta vessatorio e, quel che più conta, per niente utile a riguadagnare il fratello eventualmente caduto nell’errore. Vorrei che tutti accogliessimo l’invito rivoltoci da papa Francesco durante l’Angelus del 12 febbraio 2017: «Per favore, non insultare! Non guadagniamo niente...».
Carlo Maria Cattaneo Gorla Minore ( Va)
Condivido la sua preoccupazione, caro amico. Ma un conto è insultare e tentare di tappare la bocca a un fratello che la pensa diversamente da noi, cosa riprovevole, e tutt’altro è constatare l’esistenza di «criticoni superbi » che arrivano a manipolare le parole e le posizioni di vescovi e persino del Papa. E trovo un tale esercizio utile, viste e considerate le possibilità offerte dalla comunicazione digitale che rende questi “fratelli che ritengono di avere tutte le ragioni” particolarmente baldanzosi e aggressivi. Una sorridente e definitiva saggezza popolare li bolla da sempre come coloro che pretendono di «insegnare il Credo agli Apostoli».