mercoledì 2 settembre 2009
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«Morire per Danzica?», si chiedeva qualche settimana prima dell’attacco tedesco alla libera città del Baltico il deputato francese Marcel Déat, ex socialista e futuro collaboratore dei nazisti. Oggi, a settant’anni di distanza dall’inizio della seconda guerra mondiale, nessuno potrebbe sollevare una simile domanda senza venir ricoperto dall’ignominia universale. Sì, valeva la pena morire per Danzica e lo sbaglio fu di non aver fatto lo stesso per l’Austria invasa da Hitler e per i Sudeti occupati dalle truppe con la croce uncinata. Lo hanno detto gli eredi delle potenze belligeranti che ieri, con una solenne commemorazione, hanno voluto rendere omaggio alle vittime di allora ed esprimere la ferma convinzione che mai più dovranno accadere simili orrori.È stato un suggestivo spettacolo nel segno della riconciliazione quello che si è svolto ai piedi del memoriale di Westerplatte, il luogo dove ebbe inizio la più grande tragedia della civiltà europea, culminata con l’Olocausto e 60 milioni di morti. Fu una catastrofe umanitaria perseguita da una folle ideologia, «un tremendo conflitto che ha portato incommensurabili sofferenze e distruzioni», come ha detto con parole toccanti il cancelliere tedesco Angela Merkel, che è tornata a chiedere scusa per le nefandezze compiute dalla Germania nazista. La riconciliazione non è ancora completata. Emergono ancora attriti tra tedeschi e polacchi. Ma soprattutto non c’è ancora una memoria condivisa da Russia e Polonia. Ci si aspettava un segnale di pentimento da parte di Vladimir Putin, in quanto erede (spesso orgoglioso) dell’Unione Sovietica, il Paese che sottoscrisse lo scellerato patto Ribbentrop-Molotov e invase le regioni orientali della vicina Polonia due settimane dopo l’attacco tedesco. Ma il premier moscovita è riuscito ancora una volta a mostrarsi campione d’ambiguità: ha condannato come immorale l’accordo tra Hitler e Stalin ed ha passato sotto silenzio l’invasione sovietica della Polonia. Ha citato Katyn, ma ha praticamente equiparato il massacro degli ufficiali polacchi deciso da Berja alle morti dei prigionieri di guerra sovietici nel 1920, a causa di malattie ed epidemie. La commissione mista di storici, annunciata ieri dopo l’incontro tra Vladimir Putin ed il suo omologo polacco Donald Tusk, avrà il suo bel da fare.Eppure, la riconciliazione è un cammino obbligato. Ce lo testimonia Danzica, la città divenuta simbolo di quel che Eric Hobsbawm ha definito «il secolo breve». Qui settant’anni fa ebbe inizio la seconda guerra mondiale. E sempre qui, circa quarant’anni più tardi, prese il via quel grande movimento di lavoratori e di popolo che porta il nome di Solidarnosc. La storia si diverte a legare le date più diverse e così in Polonia il 1° settembre, giorno di dolore e di lutto, è preceduto, proprio il 31 agosto, dalla festa natale del sindacato libero di Lech Walesa. Da continente del terrore, della guerra e della divisione l’Europa si è così trasformata in quello della libertà, della pace e della riunificazione tra Est ed Ovest. Un segno consolante è arrivato proprio ieri, con significativa coincidenza, allorché due Paesi tradizionalmente nemici come Turchia ed Armenia hanno compiuto un decisivo passo verso la riconciliazione. Sì, valeva la pena morire per Danzica, la città che ha ridato linfa all’intera Europa.
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