La sindaca Raggi con il vicepremier Di Maio (Ansa)
La sentenza è di assoluzione, ma il colpevole c’è, deve esserci. Altrimenti si verrebbe meno all’imperativo categorico dell’italica politica contemporanea, quello che prevede il conflitto permanente e il "dagli all’untore". A Luigi Di Maio e al suo amico-rivale Alessandro Di Battista non è bastato incassare il verdetto favorevole per Virginia Raggi, che – sia detto per inciso, ma non è un dettaglio trascurabile – fino a qualche minuto prima il Movimento 5 stelle era pronto a far dimettere da prima cittadina di Roma in caso di condanna. Hanno immediatamente contrattaccato, individuando e segnalando ai propri seguaci – appunto – il nemico di turno.
Un nemico già largamente noto, per la verità, alle schiere pentastellate: i giornalisti, la libera informazione, i «pennivendoli-puttane» (absit iniuria verbis, sempre, ma per capire e capirci bisogna proprio citare le parole che sono state scagliate) come li chiama Di Battista, gli «infimi sciacalli» come ha scritto (su Facebook, naturalmente) Di Maio. In verità aveva già cominciato ore prima il marito della sindaca, fotografando dalla finestra i cronisti in attesa sotto casa sua e pubblicando la foto sullo stesso social, accompagnata dalla frase: «Avvoltoi con sembianze umane». Il post è stato cancellato dopo la sentenza. Ma lui, almeno, non ha un ruolo politico e gli si può riconoscere l’attenuante degli affetti familiari.
Un ministro e vicepresidente del Consiglio, invece, non solo non si dovrebbe permettere simili eccessi di violenza verbale. Ma non dovrebbe neanche aggiungervi annunci che sanno tanto, troppo, di rappresaglia: «Presto faremo una legge sugli editori puri». L’aveva già detto, d’accordo, ma ieri ha voluto coronare la frase con una perla di puro complottismo, per cui «la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente» starebbero «facendo la guerra al Governo, provando a farlo cadere con un metodo ben preciso: esaltare la Lega e massacrare il Movimento sempre e comunque».
In sostanza: è colpa dei giornali se il ponte Morandi di Genova è lungi dall’essere ricostruito (ma forse è colpa dei giornali anche il suo crollo, va a sapere); è colpa dei giornali se le Camere sono rimaste bloccate per giorni mentre i partiti della maggioranza cercavano di risolvere il braccio di ferro decreto sicurezza-prescrizione; sarà colpa dei giornali se la Manovra economico-finanziaria per il 2019 dovesse farci ritrovare con la Troika dentro casa o, peggio, con l’Italia fuori dall’euro e dalla Ue.
Di Maio ha un ruolo istituzionale, è vicepremier e titolare di due Ministeri fondamentali. Non è un Di Battista qualsiasi, libero cittadino che dal suo buen retiroin Nicaragua può permettersi di dire e stradire quello che vuole. Anche perché la rabbia mostrata a caldo potrebbe far pensare a scarsa lucidità politica. Magari per un eccesso di tensione prima della sentenza di ieri, in calendario, per un scherzo della sorte, proprio nel giorno in cui migliaia di persone in piazza a Torino si ribellavano al "No alla Tav" che è da sempre un cavallo di battaglia del Movimento.
Chiara Appendino e Virginia Raggi sono state le apripista dell’affermazione dei 5stelle alle politiche dello scorso 4 marzo ed è innegabile che i loro astri non brillino più come allora. Senza contare la fatica del governare, che costringe Di Maio a cercare quasi ogni giorno un punto di caduta politicamente accettabile nel costante tira-e-molla con il socio non alleato Matteo Salvini. L’accusa ai media di esaltare la Lega per affossare il Movimento è in tal senso indicativa. E, per finire, c’è la pressione interna esercitata dal citato Di Battista, che con i suoi proclami barricaderi ha più di una volta scomposto il nodo alla cravatta del Di Maio di governo.
Ma è troppo facile prendersela con i giornalisti per cercare di mascherare le proprie difficoltà politiche e, magari, qualche gaffe di troppo anche nei contesti internazionali. Di Maio dovrebbe sapere bene che un sindaco sotto processo, di qualsiasi partito sia, è una notizia. È un fatto di interesse pubblico, che non può essere taciuto ai cittadini. Ne va della libertà di tutti, anche della sua. Del resto, sulle disavventure giudiziarie degli avversari, vere e presunte, il M5s ha costruito tanta parte delle sue fortune.
P.s. Le sentenze non si discutono e non lo faremo nemmeno stavolta. Ma una riflessione sull’opportunità politica della nomina del fratello di Raffaele Marra, forse, andrebbe fatta in ogni caso. Per il resto, buon lavoro alla sindaca Raggi. Ne ha davvero tanto davanti a sé e finora si è visto poco. A meno che lo stato pietoso in cui versa Roma sia, anch’esso, un’invenzione dei giornali.