martedì 20 ottobre 2009
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Giusto un anno fa, dopo due mesi di agonia per le gravi ferite subite durante l’attacco di fondamentalisti indù, moriva in India, in un ospedale di Chennai, padre Bernard Digal, una delle prime vittime delle violenze anticristiane dell’agosto 2008. Gli autori dell’omicidio, riferisce Asia News, non sono ancora stati arrestati. Padre Bernard non è che la punta di un iceberg, uno dei tanti che formano l’immenso popolo dei cristiani discriminati nel mondo. Un popolo invisibile agli occhi dei media che, salvo gli episodi più eclatanti, generalmente ignorano la gravità della situazione. Un popolo spesso invisibile anche agli occhi dei politici, lontani dal farsi carico di un problema che ha a che fare con la negazione di un diritto umano fondamentale: la libertà religiosa.A fare memoria di tutto questo ci ha pensato lunedì monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu a New York. Migliore ha ricordato che il diritto alla libertà religiosa «continua oggi ad essere ampiamente violato». Atti d’intolleranza religiosa vengono «perpetrati in molte forme» e toccano le diverse religioni. Ma sono proprio i cristiani l’anello debole della catena, il gruppo religioso maggiormente colpito. Sarebbero, infatti, oltre 200 milioni i fedeli, appartenenti a varie confessioni cristiane, che subiscono discriminazioni sotto il profilo legale e culturale.Non è una novità degli ultimi giorni. In un’intervista di tre anni fa a questo giornale, Asma Jahagir, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la libertà di religione, dichiarava: «Le violenze verso i cristiani nel mondo stanno aumentando in maniera considerevole». E anche LiMes, rivista di geopolitica, tempo fa sottolineava che «il cristianesimo è la religione oggi più perseguitata nel mondo. Conta migliaia di vittime. Ma l’opinione pubblica occidentale, proprio quella di "cultura cristiana", non concede a questo dramma alcuna attenzione, se non in ambienti ristretti».Da quando quelle righe sono state scritte (era il 2001), la sensibilità su questo tema – complici i puntuali richiami di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI alla libertà religiosa – è cresciuta. Negli ultimi anni le situazioni più delicate (dall’Iraq al Pakistan, dalla Somalia all’India…) sono state oggetto di ripetute denunce, anche se spesso condotte in solitudine dai media cattolici. E tuttavia nell’estate 2008 fece ancora scalpore l’arcivescovo Dominque Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, costretto a chiedere di combattere la cristianofobia almeno «con la stessa determinazione con cui si combattono l’antisemitismo e l’islamofobia».Ora, finalmente, la politica si muove. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervenendo al Consiglio della Ue, ha chiesto e ottenuto che nella riunione di novembre si discuta di libertà religiosa e ci sia un pronunciamento formale, con particolare attenzione per la condizione delle minoranze cristiane. Un segnale importante, a due anni dall’approvazione a larghissima maggioranza, da parte del Parlamento di Strasburgo, di una risoluzione bipartisan con la quale, su iniziativa di Mario Mauro, venivano condannati «risolutamente tutti gli atti di violenza che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose».È tempo che la tutela delle minoranze religiose e il diritto alla piena libertà di fede entrino con forza nell’agenda politica, e che si adotti l’effettivo rispetto di entrambe come parametro per la concessione di aiuti e di cooperazione. Senza questo passaggio, la difesa dei cristiani e di ogni altro perseguitato rischia di rimanere un richiamo retorico.
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