Il Papa Benedetto XVI ha indicato al Collegio dei Cardinali, riuniti ieri mattina in Vaticano per il suo congedo, l’icona dell’orchestra. La più adatta a intendere il valore aggiunto della collegialità apostolica. È la metafora giusta. Non si tratta di assemblare una macchina burocraticamente efficiente, né di lavorare col bilancino delle dosi per una ricetta di successo. Si tratta del senso della fede, della giusta intonazione, dell’intesa che nasce dall’abitudine a suonare insieme e del gusto per l’accordo migliore.
Il Collegio dei Cardinali deve dare la percezione di un’orchestra dove le diversità, che sono «espressione della Chiesa universale», concorrono alla bellezza e alla ricchezza «di una superiore e concorde armonia ». E tutti devono poterla sentire. Il popolo di Dio, sorprendentemente affollato di molti dei quali «neppure conosciamo i nomi», come dice il libro dell’Apocalisse, ha colto il segnale. Il Papa Benedetto ha dato il 'la' alla giusta accordatura degli strumenti, per la prova d’orchestra che deve incominciare: con un nuovo direttore. Le moltitudini hanno sentito che questo Papa, con lo storico gesto di un congedo umile e fermo dal ministero petrino, in favore della Chiesa, la incoraggia – a cominciare dalle prime parti – a inaugurare l’epoca di una nuova performance sinfonica della fede.
Gli ultimi giorni, le ultime ore, del ministero petrino di Joseph Ratzinger sono stati affettuosamente restituiti alla loro verità e alla loro grandezza, proprio da questo popolo pellegrinante. Il suo ascolto fine dei toni di voce e dei gesti profetici di Benedetto XVI è apparso di gran lunga l’interpretazione migliore. Più acuta e precisa di molte lenzuolate giornalistiche, ossessionate dalla ricerca delle note false (con le loro sussiegose deduzioni apocalittiche, più ispirate a Nostradamus che al preteso rigore teologico delle loro proiezioni). Il sensus fidei fidelium, l’istinto della fede, ha letteralmente circondato Papa Ratzinger, mostrandosi più ammirato e intenerito di un dono alto e inatteso, di quanto non fosse – giustamente – addolorato e commosso per il distacco che lo accompagna. «È bene per voi che io me ne vada». Senza potersi liberare del tutto dallo struggimento, questo popolo ha capito la bellezza dell’atto di fede che gli è stato consegnato.
L’Anno della Fede ha avuto il suo gesto profetico. Non potrà più essere una commemorazione: sarà azione della fede, o non sarà. Quanto a lui stesso, il piccolo grande uomo che ora, nei suoi ultimi gesti del ministero che conferma la fede, ringrazia tutti e incoraggia tutti, ha sentito benissimo l’intensità di questo ascolto ammirato e attento. «Vedo una Chiesa viva», ha detto, abbracciando un’ultima volta il popolo pellegrinante che lo circondava di ammirazione e di stima. E li ha chiamati amici, con una frequenza inconsueta, in queste ultime ore. Tra poco, sarò «semplicemente un pellegrino che inizia la sua ultima tappa su questa terra», sono state le sue ultime parole da Papa, nel saluto finale a Castel Gandolfo.
Congedo dalla direzione dell’orchestra, non senza lo splendido atto della conferma del suo intatto significato: tra voi, ha detto Benedetto XVI ai cardinali, «c’è anche il futuro Papa, al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza e obbedienza». Congedo dal ministero petrino della Chiesa, ma non dal servizio totalmente dedicato alla Chiesa che ne ha indelebilmente plasmato la persona. «Vorrei ancora lavorare con tutte le mie forze, con il mio cuore e la mia preghiera, per il bene della Chiesa e del mondo». Quando racconteremo tutto questo, nella Chiesa, alle generazioni che oggi non c’erano, dovremo alzarci in piedi, e chinare lievemente il capo. E tendere l’orecchio, nella speranza di poter ascoltare, insieme con loro, la musica che deve seguire.