sabato 25 aprile 2009
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Quando si entra a Onna, la frazione che è diventata il simbolo del di­sastroso terremoto abruzzese, la prima via che ci si ritrova davanti è de­dicata ai «Martiri del ’44». Una dedica e una targa messe per non dimenticare i diciassette contadini aquilani sepolti dai nazisti sotto la loro casa, con la di­namite. Una brutta storia di cavalli ru­bati e di efferata violenza, che, come tante altre brutte storie di guerra, at­tende ancora una degna conclusione dalla giustizia degli uomini. Eppure, og­gi, sono proprio i martiri di Onna a of­frirci la possibilità di scrivere e leggere una pagina di cronaca – quella cronaca che a volte si fa storia – più giusta. Sono loro e i loro pronipoti, sepolti nelle stes­se case da un nemico mille volte più de­vastante della dinamite: la gratuità del sacrificio di ieri e di oggi sembra – ripe­tiamo, sembra – in grado di suturare an­tiche ferite e condurre anche chi per an­ni ha seguito strade diverse a incontrarsi sotto la stessa bandiera, una stessa con­sapevolezza, stessi valori. A riconcilia­re l’Italia. L’«immane tragedia», come Benedetto XVI ha definito il sisma che in Abruzzo ha spazzato vite e futuro, ha scosso il nostro Paese a tal punto da infondere nel mondo politico il coraggio dei pas­si e dei gesti importanti. Quelli di chi capisce la differenza tra un avversario e un nemico, e onora il sacrificio di quanti hanno pagato con la vita la con­quista della nostra libertà e dei nostri di­ritti politici (oggi troppe volte ridotti a moneta talmente corrente da apparire persino inflazionata). Il terremoto ha cambiato la percezione delle priorità, anche nel palazzo. L’ondata di solida­rietà che sta investendo l’Abruzzo rap­presenta la dimostrazione più bella che esiste un’unità nazionale profonda, ad­dirittura intima, che riemerge dopo me­si di diatribe sul ripensamento federa­lista dello Stato a riprova che nessun e­goismo può sradicare negli italiani la certezza di essere affratellati in storia, cultura e umanità. Sulla scena politica, il clima sobriamente bipartisan che si respira – un’atmosfera di condivisione rispettosa delle respon­sabilità che discendono dai diversi ruo­li – merita di essere sostenuto, incorag­giato, alimentato. A partire, appunto, dalla festa di oggi: se il 25 aprile è mai sta­to, in passato, una stanca cerimonia og­gi può esserlo ancor meno. In questi giorni di emergenza, il presidente della Repubblica ha parlato di una «straordi­naria prova di riscatto civile e patriotti­co che non può appartenere solo a una parte della nazione». Oggi, a Onna, Ber­lusconi, Franceschini e Casini hanno l’occasione per dimostrare che questo è possibile. Il primo festeggia il 25 aprile da leader del più grande partito del Pae­se, una forza democratica nelle cui file confluiscono tradizioni politiche diver­se e anche una parte significativa di que­gli italiani che per anni la Liberazione non l’hanno celebrata e sentita loro. Gli altri guidano forze radicate da sempre nell’Italia che, invece, ha fatto di questa data di svolta uno dei simboli più ama­ti. Al di là dei cerimoniali e nonostante certi inevitabili distinguo (soprattutto di quanti cercano, in vista delle prossi­me elezioni europee, di recuperare qual­che 'per cento' tra gli scontenti e i con­fusi), il clima di pax sismica è già ben percepibile. E fa bene all’Italia. La Liberazione, infatti, ricorda la vitto­ria su un nemico, la violenza nazifasci­sta, ma non su tutti. Altri nemici sono stati affrontati e sconfitti in una vicen­da democratica lunga ormai più di mez­zo secolo. Altri ancora rappresentano la sfida dell’oggi. Il terremoto è ancora in agguato e impone risposte efficaci e pre­veggenti. La crisi economica sta sca­vando trincee di disagio nella società i­taliana, e bisogna riempirle presto e be­ne. Questa è la nuova Liberazione da preparare. E la peggiore iattura sarebbe che il ritrovato «25 aprile di tutti» per la nostra classe politica durasse solo un giorno.
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