sabato 30 novembre 2013
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Immaginate la scena. La ragazza ha un computer portatile sulle gambe. Lavora a testa bassa da ore. Anzi, da tre giorni. Le sue dita battono freneticamente sulla tastiera del pc. Ogni tanto si rivolge a una delle numerose compagne che ha vicino, ognuna delle quali, a sua volta, sta lavorando su un computer portatile. Poco distante c’è un enorme tavolo con attorno almeno una ventina di ragazze molto simili alla prima.Basta un leggero movimento della testa e il volto della nostra amica si palesa. È una ragazza indiana. Anche tutte le sue amiche sono ragazze indiane. Per tre giorni hanno lavorato come matte. Non per diventare ricche e famose, e nemmeno per avere un posto importante in qualche azienda multinazionale tecnologica. L’hanno fatto per un fine sociale. Per contribuire con la loro professionalità – con le loro teste e con il loro cuore – a creare progetti informatici capaci di migliorare una fetta del mondo.Lontano dai riflettori dei media occidentali, hanno partecipato ad un hackathon tutto al femminile che si è svolto per tre giorni a Bangalore. Abituati come siamo a circoscrivere il mondo tecnologico in un’area che comprende quasi esclusivamente America ed Europa, abbiamo dimenticato che proprio in India risiedono alcune delle migliori menti dell’informatica mondiale. E che molte di queste sono donne. In un Paese e in un campo (l’informatica) che fanno più fatica di altri ad aprirsi alla parità.Cosa sia un hackathon è presto detto. Si tratta di una maratona informatica (che può durare da pochi giorni a una settimana) alla quale partecipano sviluppatori di software, programmatori e grafici web. Sempre più spesso questi eventi hanno finalità didattiche e sociali. Per chi li guarda da lontano, sono occasioni concrete per dimostrare e dimostrarci che questi ragazzi vogliono partecipare attivamente a costruire il nuovo mondo.Quello di Bangalore, organizzato da Grace Hopper India, aveva come obiettivo la realizzazione di progetti umanitari basati su software libero, cioè non a pagamento. In particolare le ragazze indiane hanno lavorato su tre progetti: MifosX, Bachchao e uno denominato "Promemoria clinici".MifosX – banalizzando un po’, ci perdonino gli esperti informatici – è una piattaforma tecnologica "aperta" (che cioè può essere usata e modificata da chiunque) pensata per fornire servizi finanziari ai poveri. «A regime potrà – secondo i suoi promotori – aiutare 2,5 miliardi di persone». Bachchao invece è un progetto (relativamente) più semplice. Semplificandolo un po’ (richiediamo scusa agli esperti), punta alla realizzazione di mappe "aperte" destinate a migliorare e a rendere più sicura la vita delle viaggiatrici. Ogni mappa infatti conterrà informazioni utili come l’ubicazione delle stazioni di polizia, gli alberghi "sicuri", le sedi delle organizzazioni non governative, i posti da evitare eccetera.Il terzo e ultimo progetto messo a punto nell’hackathon femminile non ha ancora un nome. Si tratta di un servizio web che fornirà gratuitamente ai Paesi più poveri tutti i dati utili su farmaci, test, vaccinazioni e visite mediche.Se avete un po’ di tempo, provate a cercare su internet le foto di questo appuntamento che si è appena concluso. Vedrete le facce di tante ragazze indiane alle prese con i loro computer. Ma soprattutto vedrete le facce di una generazione che non vuole accettare passivamente il mondo così com’è, ma vuole concretamente cambiarlo. In meglio. Pensate cosa succederebbe se la rivoluzione informatica del "nuovo mondo" iniziasse da Bangalore e non dalla solita silicon valley dove vivono e abitano i giganti americani del web.
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