L'elezione del nuovo presidente americano, tanto ricca di richiami simbolici da essere unanimemente definita storica, avrebbe potuto sollecitare, anche in Italia, una riflessione politica al livello dell'avvenimento. Invece, a causa di una goffaggine fuori misura del premier e di una reazione esagerata dei suoi critici, tutto sembra risolversi nella solita, estenuante, poco sopportabile, rissa da cortile provinciale. C'è solo da sperare che la polvere sollevata, gli insulti reciproci, le contrapposte miserevoli arroganze durino poco. Pare evidente che l'aspirazione di Silvio Berlusconi a esercitare un ruolo di moderazione e di facilitazione di un miglioramento dei rapporti tra America e Russia, dopo la crisi georgiana, non aveva bisogno di essere accompagnata da battute di dubbio gusto. È altrettanto chiaro che il tema della riorganizzazione su basi più ampie e multipolari della lotta contro il terrorismo internazionale non si può affrontare né con le frasi non meditate alla Gasparri, né con l'eguale e contraria caccia all'uomo messa in atto contro di lui. Così come non sembra molto ragionevole che il Partito democratico, per accreditare il suo collegamento ideale con i programmi di Barack Obama, metta in dubbio la volontà di collaborazione con l'America del governo italiano. Ciò che appare più paradossale è che il ricambio dell'amministrazione di Washington oggettivamente avvicina le posizioni in politica internazionale delle principali forze politiche italiane, scioglie le pulsioni antiamericane che continuavano ad agire a sinistra come una specie di riflesso condizionato della guerra fredda, spinge il centrodestra a definire in modo più politico e meno personalistico il suo, peraltro indubbio, attaccamento all'alleanza occidentale. Alla fine, c'è da sperarlo, la forza dei fatti oggettivi, che spingono verso una condivisione più ampia della collocazione e della funzione internazionale dell'Italia, avrà la meglio sulle esasperazioni propagandistiche che hanno preso il sopravvento in questi giorni. Sia i problemi della sicurezza e della difesa delle popolazioni inermi, come quelle che stanno subendo l'ennesimo genocidio nella regione africana dei Grandi laghi, sia i problemi di una stabilizzazione del sistema economico in profonda crisi, richiedono un rafforzamento straordinario delle relazioni tra le due sponde dell'Atlantico. L'Italia, naturalmente nei limiti della sua dimensione e nell'ambito dell'Unione europea, può dare un contributo specifico a questa impresa, alla quale le diverse forze politiche sono nella miglior condizione per collaborare. Chissà perché, invece di cogliere un'occasione propizia, nella quale chi ha idee può farle fruttare in un confronto aperto e che corrisponde a un evidente e comune interesse nazionale, pare che tutti, maggioranza e opposizione, preferiscano trascurarla in modo piuttosto infantile. A meno che usino i muscoli della propaganda invece del ragionamento e delle idee perché di queste in realtà scarseggiano.