mercoledì 6 novembre 2013
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Il tempo delle mele per loro è finito prima di cominciare. Quindici e sedici anni; ma gli psicologi che le hanno incontrate, dopo che il tappo è saltato, spiegano che si percepiscono molto più grandi. Ventenni nel corpo, nei desideri e nelle ambizioni: le borse firmate, le scarpe di tendenza, i telefonini di ultima generazione. Vogliono merce da esibire, solo così si sentono felici e non sanno invece che riempiono soltanto i vuoti. E per averla la scambiano con altra merce: i loro corpi giovanissimi, i loro pomeriggi neri, i loro servigi messi a disposizione di chi è disposto a pagarli. La storia delle baby-squillo dei Parioli – orribile semplificazione, ad hoc per i titoli dei giornali, di una vicenda drammatica che ci interpella tutti: madri, padri, insegnanti, giornalisti... – è una storia dei nostri tempi. Arriva dalla capitale ma anche, analoga nei contorni, da una città di provincia come L’Aquila. Lì il male è stato rivelato ieri da un uomo di Chiesa, un vescovo, che stando accanto alle famiglie impoverite si è imbattuto in ragazzine che si prostituiscono per una ricarica telefonica. Merce in cambio di merce. Soldi in cambio di corpi ancora teneri, acerbi, sebbene già da donne. E poco importa se le due liceali romane o le quattordicenni aquilane su cui ora sono state aperte le indagini, di innocente non avevano più nulla, nella loro crudele consapevolezza di esercitare potere sugli uomini che ne pagavano la compagnia. Sicure di poter gestire il gioco, senza capire – ma forse più avanti comprenderanno – che di gioco non si trattava, ma di tragica rapina di se stesse. Vittime di una società che le ha ridotte a merce perché in tanti casi ha messo il possesso delle cose e la loro esibizione al centro di tutto. Nella storia romana, e forse in quella aquilana, quando se ne scopriranno meglio i contorni, sono mancati adulti forti, genitori saldi, in grado di arginare la deriva alla fine della quale per una borsa firmata si è state capaci di gettare via la propria adolescenza. Ragazzine vittime del tradimento, o, nel migliore dei casi, della debolezza dei padri e delle madri. Fragili anche loro, incapaci per tanti motivi di contenere l’irrequietezza e l’aggressività di adolescenti con una concezione malata della libertà, in balìa di spinte autodistruttive. Famiglie (o quel che ne resta...) in certi casi perfino complici nel far finta di non vedere e di non capire da dove arrivassero i soldi per le borse, i telefonini, le ricariche.E poi ci sono gli uomini. Uomini maturi, che magari hanno figlie con l’età delle ragazzine di cui pagavano l’intimità. «Sembravano più grandi», proveranno a minimizzare con gli inquirenti (per inciso: nell’inchiesta romana sono donne il gip, il pm e pure il procuratore aggiunto). Niente scuse, per favore. Chi compra sesso da una ragazzina lo fa per il piacere della trasgressione, e in questa logica perversa la giovanissima età giustifica, come nel caso di Roma, un supplemento di spesa. Che adulti sono, che uomini sono, i clienti che approfittano del vuoto pneumatico in cui vivono queste ragazzine perdute dei nostri tempi? I profili socio-psicologici spiegano, perfino banalmente, che appartengono al ceto medio-alto, che cercano il brivido del proibito. Sarebbe bene chiamarli solo rapinatori. Rapaci.Ora si dice che tante, troppe adolescenti di oggi trattano il proprio corpo come se non appartenesse davvero a loro. Che buttano via la propria, preziosa, sessualità. Prive di scrupoli morali, assente persino un elementare senso del pudore. Prima di tutto, però, vittime. E sole. Forse perché in pochi, oggi, si prendono il disturbo di dire alle ragazzine (e anche ai maschi, certo) che tesoro meraviglioso è il loro corpo, di che miracoli è capace. Quando incontra l’amore, però. Non i soldi.
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