sabato 18 settembre 2010
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E ancora tempo di elezioni in Afghanistan. Una vigilia per noi purtroppo funestata da un nuovo tragico lutto, con la morte di un militare italiano impegnato in una missione anti-terrorismo. Oggi il Paese è chiamato scegliere i rappresentanti della Wolesi Jirga, la camera elettiva del Parlamento, dopo le disastrose votazioni lo scorso anno per la carica di presidente, che furono caratterizzate da brogli massicci, ricorsi, riconteggi e aspre polemiche. Il clima, se possibile, è ulteriormente peggiorato: i taleban sono ancora più aggressivi e indomabili, capaci di colpire con feroce durezza tanto i militari della Nato quanto la popolazione; la comunità internazionale è sempre più svogliata e sfiduciata nel sostenere lo sforzo di stabilizzazione, mentre il governo del presidente Hamid Karzai non ha fatto nulla per migliorare la sua efficienza e ridurre la scandalosa, persino esibita, corruzione di tanti membri della classe politica. Si vedrà, dai risultati delle elezioni, l’opinione degli afghani. O meglio, si spera di riuscire a percepirla in modo sufficientemente realistico dato che, più ancora dei risultati in sé, sono le modalità con cui si riuscirà a esprimere la volontà degli elettori a contare. In molti distretti provinciali non vi saranno seggi: più di mille su un totale di 6.000 sono stati chiusi per mancanza di condizioni minime di sicurezza. Intere comunità non potranno di fatto votare. E in quanti altri distretti gli elettori non oseranno sfidare le minacce talebane per avventurarsi fino ai seggi. Nei primi anni dopo la cacciata dei fanatici "studenti del Corano" da Kabul, tante donne e uomini dell’Afghanistan avevano deciso di votare comunque, nonostante il rischio di subire violenze o di essere uccisi, per testimoniare la loro volontà di cambiamento. I fallimenti e le delusioni di questi anni hanno ridotto notevolmente il sostegno popolare al nuovo sistema politico. Ma vi è poi il rischio – anzi, la certezza – che il voto sia alterato da brogli e pressioni da parte delle autorità tradizionali e dai signori della guerra. Le Nazioni Unite e la commissione elettorale afghana sperano in un contenimento di queste manipolazioni, per evitare di affrontare ricorsi e polemiche che potrebbero indebolire ulteriormente il sistema, o paralizzarlo per mesi. La decisione degli scorsi anni di "nazionalizzare" i meccanismi politici, affidando al governo di Kabul la gestione dei processi elettorali, ha comportato il loro deterioramento qualitativo. Era in ogni caso una scelta obbligata, si è detto, ma avrebbe potuto essere gestita meglio a livello internazionale. Interessante sarà anche analizzare i risultati a Kabul e nelle periferie, o capire la partecipazione femminile. Fra i circa 2.500 candidati, ben 400 sono donne. Un numero altissimo imposto dalla costituzione, ma che cela una tendenza negativa della partecipazione femminile nel sociale, un segno ulteriore della pervasività del dogmatismo religioso dei taleban e della loro capacità d’intimorire. Quante donne andranno a votare, e quante lo faranno direttamente, non tramite il marito, come accaduto nelle province periferiche? Laggiù, l’altissimo analfabetismo e la mancanza di scrutatrici donne aveva spesso tenuto lontano mogli e figlie dalle cabine elettorali, per evitare "macchie" al proprio onore. Insomma, molti temono che il risultato delle urne sarà un Parlamento debole, scarsamente legittimato da una bassa partecipazione popolare, dominato da capi tribali, signori della guerra e personaggi ambigui. Ma pur sempre un Parlamento, che avrà dinanzi a sé compiti importanti, come il tentativo di pacificazione, il rafforzamento dello Stato e delle Forze armate, il miglioramento dell’amministrazione. E sarà bene che la comunità internazionale non esiti a ricordare tutto ciò ai nuovi deputati, sottolineando il prezzo sanguinoso che i Paesi amici dell’Afghanistan stanno pagando, come nuovamente ieri noi italiani.
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