Ma non è finita. Perché insieme alla carta telefonica ecco spuntare dalla busta pontificia riservata ai più marginali tra gli esclusi anche biglietti del metrò, per non doversi trascinare da un capo all’altro di Roma con il proprio fardello di miseria, e un biglietto natalizio firmato dal Papa. Sarebbe un tesoro anche per chi fosse più abbiente, per un povero vuol dire un messaggio che va dritto al cuore. Perché con quella busta affrancata il Papa mostra di conoscere e capire ciò che a un povero, un immigrato, un clochard manca forse più ancora di un pasto soddisfacente: la possibilità di mandare notizie di sé a chi le attende insonne da chissà quanto tempo, di sentire una voce cara, di potersi muovere per la metropoli da cittadino come gli altri e non da reietto, di ricevere un saluto personale da una figura che tutti sentono vicina, come Francesco.
Il Papa che non si limita a un generico attestato di solidarietà ma si mette nei panni di chi vive nella precarietà più assoluta compie un gesto che dà vita a quel che scrive nella Evangelii gaudium, al numero 48: «Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli». Possiamo solo immaginare la commozione di Bergoglio quando le persone umili assistite ogni giorno dal Dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano gli hanno fatto trovare ieri, in aula Paolo VI, una torta per il suo compleanno, che cade martedì. Un dialogo di gesti, nel quale abbiamo tanto da imparare.