venerdì 9 dicembre 2011
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In un Paese normale, vincere le elezioni con quasi il 50 % dei voti, ottenendo così la maggioranza assoluta in Parlamento, sarebbe motivo di grande soddisfazione per un leader politico. Non in Russia dove un simile risultato è stato vissuto come una sconfitta dal partito di Putin, che nella precedente legislatura poteva contare su due terzi dei seggi. In un Paese normale, un migliaio di pacifici dimostranti non sarebbero considerati pericolosi sovversivi, picchiati, arrestati e condannati per direttissima a pene detentive. Come invece è accaduto a Mosca in questi giorni a chi è sceso in piazza per protestare contro i massicci brogli elettorali, denunciati da tutti gli osservatori dell’Osce e dell’unica organizzazione locale indipendente, e deplorati con parole insolitamente dure dal segretario di Stato americano Hillary Clinton. Irregolarità e manipolazioni del voto non sono certo una novità nella Russia giunta alla democrazia solo vent’anni fa. Ma quel che fino alle elezioni precedenti era un sospetto bisbigliato da un manipolo di dissidenti, oggi è diventato un grido furente che s’accompagna all’evidenza delle truffe grossolane, filmate coi telefonini e diffuse su Youtube. La rivolta «contro il partito dei ladri e dei corrotti», nata sul Web, è sfociata nella richiesta di piazza per «una Russia senza Putin», l’uomo forte al potere da dodici anni, che si prepara a tornare al Cremlino contando di rimanerci per altri dodici, fino al 2024. In Russia c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico. Assisteremo alla 'primavera di Mosca' dopo quelle che abbiamo visto sorgere nel mondo arabo? La cautela è d’obbligo. Prima di tutto, perché in Russia il movimento di protesta è ancora molto élitario, lontano dal raggiungere le masse imponenti che hanno fatto crollare i regimi del Nord-Africa. In secondo luogo, proprio le rivolte nel mondo arabo hanno mostrato le potenzialità ma anche i limiti di una nuova soggettività costruita sui parametri del mondo virtuale. Ed a Mosca il blogger Navalnyj, divenuto famoso per aver dato il via alla protesta contro i brogli, non è considerato l’uomo-simbolo di una rivoluzione, ma l’uomo-sintomo di un disagio. Per la prima volta si è rotto l’incantesimo con cui Putin aveva stregato la società russa: un po’ più di benessere in cambio di un po’ meno di libertà politiche e civili. Non sappiamo se questo comporterà anche la rottura dello stereotipo di una Russia passiva e obbediente allo zar di turno. Qualcosa però sta cambiando e Putin farebbe bene a prendere atto dell’insofferenza crescente nei riguardi di una 'democrazia autoritaria' che sta degenerando sempre più nell’arbitrio e nell’illegalità. Ma non sembra abbia intenzione di farlo. Davanti alle manifestazioni di questi giorni, zar Vladimir non trova di meglio che accusare gli Stati Uniti «d’aver fomentato le proteste». Un vecchio riflesso sovietico che continua a sussistere a vent’anni dal crollo dell’Urss. Un anniversario che Putin celebra a suo modo, con tanta nostalgia per il mondo di ieri. «La fine dell’Unione Sovietica è stata una delle più grandi catastrofi del XX secolo», disse qualche anno fa. A quanto pare non ha cambiato opinione. E non perde occasione per bacchettare l’Occidente, minacciando d’installare i missili lungo i confini con l’Unione Europea in risposta allo scudo difensivo progettato dalla Nato. Anche per questo è sempre piaciuto ai russi. Ma ora l’idillio sta finendo. Come reagirà Putin, l’uomo che non conosce sconfitte e non sopporta contestazioni?
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