Densa, come sempre, la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco alla 61ª Assemblea Generale della Cei. Le parole che egli ha pronunciato si muovono tutte nell’orizzonte della speranza: non la speranza, a volte dolce, ma ingenua di chi cerca di rimuovere le sofferenze del presente, augurando a sé e agli altri un generico futuro "migliore", ma la speranza cristiana, di chi sa che sperare in modo autentico significa mettere alla prova se stessi con un serio e fiducioso operare nel mondo.Molteplici i temi trattati nella prolusione. A molti apparirà predominante, e non a torto, quello della pedofilia, affrontato dal cardinale in modo limpido ed esplicito e soprattutto in stretta connessione con le indicazioni che provengono dagli insegnamenti e dalle indicazioni pastorali del Papa. Il tema è conturbante, ma la Chiesa non deve esitare ad affrontarlo; non è del mondo che il cristiano deve aver paura, ma del peccato e delle sue tragiche conseguenze, nella consapevolezza che la più autentica risposta che è possibile dare al peccato, cioè la penitenza, appartiene anche essa all’ordine della grazia. Più che sulla pedofilia, sembra però opportuno soffermarsi oggi su altri due temi, non perché siano più rilevanti di questo, ma perché in essi, più ancora che in quello della pedofilia, siamo messi in grado di percepire la specificità dell’approccio ecclesiale a questioni che possiedono una rilevanza non solo antropologica, ma più spiccatamente "civile"; questioni, cioè, per le quali alcuni potrebbero pensare che un intervento da parte della Chiesa debba essere ritenuto inessenziale, se non addirittura superfluo. Non è così.La prima questione è quella demografica. Il presidente della Cei non rinuncia ai toni che gli sono propri, caratterizzati da una pacata fermezza. Ma non è possibile sottovalutare la forza di un’affermazione che egli fa, quella secondo la quale l’Italia sta andando «verso un lento suicidio demografico». All’affermazione seguono le cifre che le danno sostanza: oltre il cinquanta per cento delle famiglie oggi è senza figli; tra quelle che ne hanno, la metà ha un figlio solo; solo il cinque per cento delle famiglie con prole ha tre o più figli. Il cardinale non usa molte parole per spiegare il significato antropologico di questi dati: se viene meno la coscienza del valore che ha l’aver figli viene inevitabilmente meno la percezione del valore della vita stessa. I figli, dice Bagnasco, sono «doni che moltiplicano il credito verso la vita e il suo domani»; essi sono, in altre parole, il segno che la vita ha un senso e che ha un senso lottare per darle un senso. Il necessario e doveroso impegno dello Stato nel sostegno delle famiglie non va visto quindi solo in chiave economico-politica, ma in un orizzonte più ampiamente antropologico.L’altra grande questione affrontata è quella dell’ormai prossimo anniversario dell’unità d’Italia: un tema sul quale, dice il presidente della Cei, è doveroso confrontarsi «da persone adulte». Che l’ unità del Paese sia una conquista irrinunciabile è un dato acquisito, così come è da ritenere acquisito che l’unità non vada interpretata come il prevalere di un progetto su altri progetti, ma come il «coronamento di un processo», di un lungo processo nazionale, culturale, artistico, e soprattutto religioso; un processo di cui i cattolici sono stati protagonisti, al punto da poterli qualificare – con un’ espressione a suo modo ardita – «tra i soci fondatori di questo Paese». Anche le questioni più laceranti che hanno tormentato tante coscienze nel corso del processo risorgimentale sono ormai ricomposte: l’esplicita citazione dei nuovi accordi concordatari tra Stato e Chiesa del 1984 serve a sottolineare come, anche in questo ambito, la «pacificazione» sia ormai completamente raggiunta. Tutte queste osservazioni, avverte però il cardinale, vanno intese non come rivolte verso il passato, ma come aperte al futuro, perché il nostro «stare insieme» si radichi sempre di più nella volontà di «volersi reciprocamente più bene». Questo è il grande insegnamento, nello stesso tempo "politico" e "meta-politico" che, tramite le parole di Bagnasco, la Chiesa rivolge a tutti i cittadini: il nostro vincolo nazionale non si fonda su meri interessi, o su accordi politico-procedurali, né meno che mai sulla condivisione di sentimenti nazionalistici o narcisistici. Esso si fonda sulla consapevolezza che esiste un bene comune di noi italiani, un bene che va costantemente promosso attraverso riforme concrete e intelligenti. A questo impegno i cattolici non vogliono, né possono venir meno.