«Profezia» e «innovazione » – le due parole che il Papa ha consegnato alla Cisl – possono davvero essere le chiavi con le quali cercare di aprire la porta di un futuro diverso e migliore rispetto a quello, incerto e fosco, che si staglia oggi all’orizzonte? E come si coniugano nella realtà?
Il discorso che Francesco ha rivolto ieri ai delegati sindacali, quasi una seconda catechesi fondamentale sul lavoro dopo quella pronunciata all’Ilva di Genova, potrebbe apparire paradossale. Di fronte a profezie economiche sempre più negative, a un’innovazione che mina le certezze sull’occupazione e la nostra stessa vita, il Papa chiede al sindacato proprio di essere profetico e innovativo, sprona a gridare sui tetti le ingiustizie e ad uscire dalla cittadella fortificata dei garantiti per andare nelle periferie a raccogliere chi è fuori, chi è precario, chi diventa imprenditore di se stesso ma si ritrova solo, per dargli protezione. La profezia, dice Francesco, è «la vocazione più vera del sindacato», che «nasce e rinasce tutte le volte che denuncia... i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli scarti».
Oggi c’è ancora un bisogno estremo di profezia, di denuncia: certo dello sfruttamento più plateale – gli immigrati schiavizzati nei campi da nostri concittadini novelli 'negrieri' – non di meno però delle sue forme più sofisticate e subdole, come certe visioni totalizzanti del lavoro imposte ai giovani in carriera nella finanza, costretti in ufficio fino a notte con la lusinga di buoni guadagni (e meglio se restano single). Ma c’è ancor più bisogno di innovazione e di protagonismo, cioè della capacità di reagire a condizionamenti e cambiamenti non chiudendosi nella mera difesa dell’esistente e dei diritti acquisiti. Al contrario, la vocazione del sindacato è quella ad aprirsi per includere, per costruire insieme un futuro che sia vero e giusto. E ciò può avvenire con maggiore efficacia quanto più le sfide che la modernità ci pone di fronte vengono affrontate a partire da una precisa visione del valore della persona e del lavoro, dimensione nella quale l’uomo e la donna come dice il Papa «fioriscono», trovano cioè una loro realizzazione nel cooperare e mettersi in relazione gli uni con gli altri. «Dio nel compagno lo fa mio fratello», predicava don Primo Mazzolari che Francesco ha omaggiato la scorsa settimana, «e allora il mio lavoro diventa un atto di religione: lavoro con Dio in un atto d’anima che abbraccia ogni creatura». Una visione capace di ribaltare la logica economicistica dello scambio tra capitale e lavoro nelle sue forme antiche e futuribili e che richiama invece il modello di economia sociale di mercato che sindacato e lavoratori sono chiamati a proporre, sperimentare e costruire.
Solo teorie astratte, una vaga dottrina sociale? Questo Papa, al quale piace carezzare in contropelo quanti vanno ad ascoltarlo – e con tanto più vigore quanto più si è vicini alla Chiesa stessa – non ha mancato di sottolineare tutte le contraddizioni che ancora 'imprigionano' il sindacato. A rischio di essere troppo simile ai partiti politici, di diventare istituzione lontana, che la società «non vede ancora lottare abbastanza nei luoghi dei 'diritti del non ancora'». E non ha mancato neppure di mettere il dito nella piaga ancora aperta – per la stessa Cisl, i sindacati in generale e la società tutta – delle «pensioni d’oro, un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere», ha detto papa Bergoglio. Soprattutto, però, ha richiamato la necessità di un nuovo «patto umano, un patto sociale per il lavoro» con al centro i giovani, che possa prevedere la diminuzione dell’impegno lavorativo di chi è più 'anziano' per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei ragazzi.
Il governo dovrà presto decidere se alzare ancora l’età pensionabile, in proporzione all’aumento dell’aspettativa di vita, con il rischio di rendere ancora più lontano il traguardo della quiescenza per chi è ormai nella terza età e chiudere ulteriormente gli spazi d’ingresso nelle imprese ai giovani. È l’occasione per il sindacato di essere 'profetico' – cancellando privilegi che ancora caratterizzano il nostro sistema previdenziale, disponibili per primi a rinunciarvi per garantire i necessari risparmi – e 'innovativo' proponendo percorsi diversi che davvero favoriscano i giovani, anziché penalizzarli; liberino tempo per chi lavora troppo e creino spazio a chi è escluso. Senza rigidità e timori del nuovo, con fantasia e disponibilità. Nel confronto con la politica – e più ancora nello specifico della contrattazione nelle imprese – oggi essere sindacato significa rispondere alla propria vocazione di syndike di (fare) 'giustizia insieme'. È greco antico, ma non c’è nulla di più moderno.