Caro direttore,
sono un padre di famiglia e un lavoratore che sostiene con il suo reddito un nucleo composto da cinque persone, torno a scriverle perché le promesse che l’allora premier Renzi mi fece dalle colonne di “Avvenire” sono rimaste un pallido ricordo. Con quello scambio di lettere – «Caro Matteo, caro Stefano» – lei decise addirittura di aprire la prima pagina del giornale. Era il 24 aprile di ormai quasi sei anni fa. Allora il dibattito verteva intorno ai famosi 80 euro in busta paga, che avrebbero clamorosamente penalizzato le famiglie monoreddito e con figli, e che hanno continuato a penalizzarle. A distanza di sei anni, di vari governi e di un ulteriore aumento del calo demografico italiano (ormai anche l’espressione “inverno demografico” appare inadeguata di fronte ai peggiori dati di sempre registrati dall’Istat), di parole roboanti spese a destra come a sinistra mi ritrovo a scorrere sconfortato le tabelle dei prossimi probabili sgravi fiscali per i dipendenti, calcolati ancora una volta, inesorabilmente, senza tener conto dei carichi familiari. Cioè di quante bocche uno stesso stipendio sfama. Di quanti figli fa studiare, vestire, telefonare, fare calcio e palestra. Su quanti metri quadri di casa deve pagare mutuo, condominio, immondizia e bollette, per poterci stare in cinque (come nel mio caso), in sei, in sette... Anche stavolta sono maledettamente fuori, perché guadagno più di 40mila euro lordi l’anno. Ma lo Stato non lo capisce (o fa finta di non capirlo) che a Roma per viverci in cinque bastano a fatica. In quale abisso di denatalità dovremo sprofondare prima che qualcuno prenda un po’ sul serio, al di là di promesse demagogiche e bugiarde, i veri problemi delle famiglie? Con rispetto, molta disillusione e moltissima rabbia.
Nella logica dei bonus fiscali non c’è posto per la famiglia, caro Stefano. Ormai l’abbiamo capito. Ma a essere pessimisti potremmo concludere sconsolatamente che per la sospirata riforma fiscale a favore della dimenticatissima, e perciò tartassata, famiglia con figli c’è posto solo in qualche dichiarazioni d’intenti e d’occasione, nelle pieghe dei programmi elettorali, nei soliti e magari tonanti slogan da comizio. Vale per ogni partito e movimento che si sia sinora affacciato nelle cosiddette “stanze dei bottoni” governativi. Nessuno di questi, anche solo stando a questo secolo, una volta assunte responsabilità nazionali di governo ha posto fine allo scandalo della “invisibilità” della famiglia e dell’indifferenza nei suoi confronti. Anche in questi ultimi anni in cui finalmente ci si sta rendendo conto del dramma demografico in atto nel nostro Paese. Quasi che i figli nascessero davvero sotto i cavoli o portati dalle cicogne e non fossero generati nella relazione tra una donna e un uomo. Come se la Costituzione della nostra Repubblica non riconoscesse la famiglia, «società naturale fondata sul matrimonio», il suo valore e i suoi diritti.
Né tu né io vogliamo essere pessimisti sino alla rassegnazione, ne sono certo. Disillusi e un po’ arrabbiati, come scrivi, questo sì. E vorremmo credere di poter vedere presto i frutti del convincimento che il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri ha messo nero su bianco proprio in una lettera al nostro giornale del 22 dicembre 2019, e cioè che «le politiche di sostegno alla famiglia sono un investimento sul futuro in un momento storico in cui i dati sulla natalità nel nostro Paese ci dicono che siamo agli ultimi posti in Europa». Così come vorremmo credere che la competenza e il realismo subito messi in campo dalla ministra della Famiglia Maria Elena Bonetti riusciranno là dove sinora tutti, a destra come a sinistra, hanno fallito. Il miglioramento e l’ampliamento stabili– e sottolineo, l’aggettivo “stabili”, ovvero certi e affidabili – dei servizi alla famiglia con figli sono ovviamente utili e addirittura benedetti, ma serve anche una vera svolta in campo fiscale. Qualcosa di strutturale, in grado di impressionare le giovani coppie e ridare fiducia alle troppe famiglie, soprattutto monoreddito, finite in una condizione materiale e morale di affanno permanente. Ma purtroppo è un fatto che alla prima occasione utile, quella che lo stesso premier Giuseppe Conte ha definito un «primo passo» verso la complessiva riforma dell’Irpef, e cioè il rafforzamento e l’estensione del cosiddetto “bonus Renzi” portato sino a 100 euro di sgravio fiscale per molte categorie di reddito medio-basso, non si è neppure accennato a tener conto dei carichi familiari. Oggi come sei anni fa, dunque. Nonostante la “scoperta” ormai quasi generale del dissanguamento demografico d’Italia e in barba a promesse e impegni.
Il problema è che se, anche su questo fronte, mai si comincia la corsa contro il tempo e per la vita, mai si taglierà il traguardo. E sempre più italiani sono stanchi – proprio come te, caro Stefano – di parole senza seguito. Di chiacchiere ne abbiamo piene le orecchie, proprio perché le tasche di troppe famiglie italiane restano più vuote. L’ora di cambiare è suonata da anni, eppure si traccheggia. Non c’è altro tempo da perdere e non c’è più pazienza della gente da sfidare.