Oggi l’Italia è una Repubblica fondata sulla precarietà e l’assistenzialismo. Il lavoro non è abbastanza ed è sempre più provvisorio. La stabilità politica e sociale necessaria per rilanciare lo sviluppo ha le gambe fragili delle troppe persone che non trovano solida occupazione. Eppure l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro come recita l’articolo 1 della Costituzione. Che agli articoli 3 e 4 della Carta lo concepisce non solo come "diritto" che garantisce il pieno sviluppo della persona ma anche come "dovere" che contribuisce al progresso materiale e spirituale della società.
Dovremmo perciò essere una Repubblica di cittadini-lavoratori. Ma non è pienamente così. E se concepiamo la democrazia non solo un insieme di regole per gestire il sistema politico-istituzionale, ma come lo spazio vitale che garantisce la realizzazione delle persone, è evidente che la ferita è grave. Ed è resa più dolorosa dalle restrizioni per contrastare la pandemia.
I dipendenti sono stati tutelati dal blocco dei licenziamenti mentre i precari e liberi professionisti sono duramente colpiti. Per i giovani, il nostro capitale umano, la possibilità di un’attività stabile è una chimera e la loro cocente delusione deve ferirci l’anima. È un grave spreco di valore umano ed economico. I dati Inps, Istat, il rapporto Inapp pubblicato all’antivigilia del Primo Maggio certificano che il 2020 si è chiuso con la perdita di 432mila occupati, e da una primavera all’altra i disoccupati sono diventati un milione in più. E il 2021 è un’incognita.
Un vero e proprio tsunami su un Paese "vecchio" che deve invertire il ciclo e uscire dal suo mesto inverno demografico. I sostegni-ristori sono necessari provvedimenti tampone, ma per evitare una deriva assistenziale il rimedio principe è il lavoro. Tanto e stabile, base solida per la ripresa. Compito della politica e di tutte le categorie economiche e finanziarie dovrebbe essere quello di predisporre un piano e di stringere un patto che abbia come obiettivo la piena occupazione entro il prossimo decennio.
Le rilevanti risorse che verranno dal Pnrr devono generare investimenti e quindi occupazione. Occorre però un nuovo modello di sviluppo che sia molto di più di una rivisitazione flessibile di logistica e tecnologia. S’impone un nuovo modello organizzativo costruito su nuovi valori e modalità di concepire il lavoro e il mercato, per lavorare tutti e magari tutti un po’ meno.
L’occupazione dev’essere la priorità del governo e degli imprenditori in quanto per aumentare produzioni, fatturati e utili abbiamo bisogno di più consumatori e di consumatori consapevoli e responsabili. Creare occupati secondo un modello sostenibile oltre che giusto è anche conveniente. Le imprese hanno anche precisa responsabilità sociale.
Il boom degli anni 60 fu anche dovuto a imprenditori che si prendevano cura dei dipendenti e delle comunità facendo funzionare l’ascensore sociale. L’articolo 41 della Costituzione ricorda: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Il Sistema Italia deve ripartire da qui.
Alberto Mattioli è consigliere nazionale Federazione Maestri del Lavoro