Al giro di boa dell’approvazione nell’assemblea del Senato, il disegno di legge per la regolazione del ' fine vita' arriva dopo una navigazione non facile, come del resto era prevedibile e previsto. Nonostante ciò, la virata avviene all’insegna di una più che apprezzabile capacità, da parte della maggioranza parlamentare, di tenere la barra del timone ben salda lungo la rotta dei principi annunciati, nel rispetto della dignità della persona e del suo diritto a un’assistenza scevra da accanimenti, ma attenta a schivare ogni rischio di abbandono terapeutico o, peggio, di deriva eutanasica. Il lavoro di predisposizione del testo, tra commissione di merito ed aula, è stato approfondito e scrupoloso. E il risultato finale, al di là di correggibili sbavature, non può certo essere tacciato di approssimazione o di sciatteria. Il pilotaggio paziente e sapiente della presidenza di Palazzo Madama e la tenace tessitura del relatore Calabrò, inoltre, mettono l’articolato al sicuro da addebiti di frettolosità, anche se le cadenze del lavoro legislativo avevano ricevuto una più che giustificabile sollecitazione ad evitare lungaggini e meline dagli esiti drammatici del caso Englaro. I toni del dibattito parlamentare, per altro, anche nell’atto finale di ieri hanno risentito inevitabilmente delle asprezze che, in definitiva, proprio quella vicenda aveva voluto innescare, con una forzatura giurisprudenziale che il trascorrere del tempo dimostra sempre di più come una scelta premeditata e a lungo perseguita. Nel solco di quella forzatura, in particolare, si inserisce il tentativo, riprodotto ancora in sede di dichiarazioni di voto finali, di rovesciare il principio umanistico della ' pietas' nel suo contrario. E proprio questo rovesciamento viene agitato come pretesto per inscenare, oggi, irridenti gazzarre di piazza e, in futuro, ulteriori pressioni sul terreno istituzionale e giuridico. Si deve probabilmente a un tale clima la mancata adesione, sul testo complessivo e su alcune sue parti, di settori parlamentari che verosimilmente avrebbero potuto convergere di più, rafforzando l’area dello schieramento favorevole al disegno di legge. Al dunque, solo due esponenti democratici hanno unito il loro sì a quello di una maggioranza rimasta a sua volta largamente compatta, al di là delle singole convinzioni etiche. A questo proposito c’è un dato, già segnalato in sede di cronaca su questa colonne, che merita un’ulteriore sottolineatura: la misura del consenso alle diverse norme esaminate si è quasi sempre dilatata nei numerosi casi di votazione a scrutinio segreto voluti dallo schieramento contrario alla legge. Andando quindi in direzione opposta all’intento con il quale lo si era richiesto. Particolarmente significativo è stato l’esito della votazione sull’emendamento che, mercoledì mattina, puntava a cancellare il divieto di rinuncia a idratazione e nutrizione all’interno della dichiarazione anticipata di trattamento: i voti contrari, 164, hanno toccato in quel caso il punto più alto, a difesa di un presidio minimo di tutela di chi non vive grazie a supporti tecnologici ' lunari', ma alla semplice somministrazione di sostegni vitali. È stata una riprova difficilmente contestabile che la libertà di coscienza, anche quando esercitata senza i pretesi vincoli di scuderia, pende nettamente dalla parte della vita. Di qui l’auspicio che, nel seguito della sua navigazione, il provvedimento possa aggirare i marosi della contrapposizione ideologica e delle ricerche puntigliose di rivincite ad ogni costo, per toccare infine con più ampio sostegno l’approdo finale anche a Montecitorio.