«Un’alleanza sulla centralità della persona», che contrasti la corrente «antropologia mercantile» e sia «in grado di rilanciare il senso di comunità smarrito nel nostro Paese». Così, nella sua intervista ad "Avvenire" dell’8 novembre Fausto Bertinotti riassume l’alleanza, tra umanesimi di culture diverse, che dovremmo avere come orizzonte. E lo fa richiamandosi a papa Francesco che ne aveva parlato a più riprese e che di lì a poco ne avrebbe detto anche di fronte al Parlamento europeo. Quell’alleanza, nel secolo scorso, ha perso troppi appuntamenti. E martedì scorso, ancora a Strasburgo, l’abbiamo sentita evocare dal Papa come promettente caratteristica di «politici giovani» e capaci di buoni «trasversalismi». In questi giorni, vedendo il dolente film di Ermanno Olmi sulla vita di trincea della Grande Guerra, credo che diversi di noi si siano trovati a pensare: cosa sarebbe stata la storia d’Europa del ’900 se la testimonianza profetica di Benedetto XV e le posizioni del cattolicesimo popolare avessero intaccato le granitiche certezze dell’interventismo democratico e si fossero incontrate – dandosi reciproca forza e fondendosi in un grande movimento di popolo – con il pacifismo socialista?Benedetto XV – come ha ricordato su queste colonne Marco Roncalli – non attese certo l’agosto del 1917 per definire la guerra «un’inutile strage», ma fin dal 1914 si adoperò verso le potenze belligeranti perché fosse trovata, per l’affermazione dei diritti ritenuti lesi, una soluzione diversa dalle armi; per evitare l’estensione e, in seguito, per affrettare la fine di una guerra bollata come «calamità» (settembre 1914), «tremendo fantasma» (novembre 1914), «suicidio dell’Europa» (marzo 1916), «la più tenebrosa tragedia della follia umana» (dicembre 1916). Questo adoprarsi per la pace non s’incontrò con il neutralismo socialista. Non fu compreso da tutta la cultura laica. Cattolici e socialisti, rimanendo divisi, non riuscirono a intaccare lo "spirito del tempo" che impetuosamente soffiava verso la guerra. Così impetuosamente da far scrivere a una madre cattolica, come Maria Garrone, una lettera ai figli Eugenio e Giuseppe, che si accingevano a partire volontari, per incoraggiali alla «grande prova». Una lettera in cui quella madre, cui due anni dopo sarà riservato l’atroce destino di perdere entrambi i figli in guerra, scrive: «Il giorno in cui parve affacciarsi l’idea di vederne dissipato il pericolo [della guerra], fu tale lo spasimo che l’Italia non uscisse gloriosa e rispettata da tale soluzione, che io donna, io madre, non certo eroica, sentii qualche cosa che mi faceva tremar l’anima per grande sgomento, e non potei pensare con l’animo sereno alla pace» (cit. da Alessandro Galante Garrone in "Lettere e diari di guerra 1914-18", Garzanti, 1974, p. 28). Davvero, ci sarebbe voluta una grande alleanza per placare quel vento impetuoso. Le "occasioni perdute" dell’incontro fra culture – che, pur fondandosi su ispirazioni filosofiche o religiose diverse, sono consonanti nell’esprimere un comune umanesimo – non si fermano al 1914. Tutta la storia del secolo scorso è punteggiata da mancati incontri come questo. A ognuna di queste occasioni perdute è corrisposta una tragedia: l’avvento del fascismo, il tragico ritardo della cultura marxista a distaccarsi dai regimi autoritari d’oltrecortina. E invece, ogni volta che questi umanesimi si sono incontrati, ne sono scaturite conquiste civili: il superamento della pena di morte, il suffragio universale, le grandi riforme dei primi anni 60 del Novecento (prima fra tutte quella della scuola media unificata), la riforma del diritto di famiglia del 1975. La tendenza prevalente è stata però l’incomprensione reciproca. Le cause non sono riconducibili a un’unica responsabilità. Reciproche sordità alimentavano nuovi arroccamenti. Penso agli anni del secondo dopoguerra, in cui – accanto al miracolo democratico ed economico realizzato da Alcide De Gasperi – una parte del mondo cattolico fu tentato (come avrebbe detto Pietro Scoppola) da «un modello di società in cui l’attività politica risulta subordinata all’azione pedagogica della Chiesa». Tentazione a cui la cultura laica rispose, tranne poche eccezioni, con una radicale indifferenza verso i fermenti del mondo cattolico, tormentato dalla frattura tra vita e fede e alla ricerca di dialogo con altre culture. Assilli che non appartenevano soltanto ad ambienti minoritari del cattolicesimo. Costituiva no anche il mondo di papa Montini che nel 1964, parlando agli artisti italiani, chiedeva «perdono» per non averne a volte compreso la creatività e aver loro «messo una cappa di piombo addosso». Incomprensioni che appartengono al passato. Parole come quelle di Bertinotti ci aiutino però tutti a ricordare che sugli errori del passato bisogna sempre meditare: non per rinfacciarseli a vicenda ma per evitare di caderci di nuovo.