ANSA
Caro direttore,
da pacifista, atlantista ed europeista, ho guardato con trepidazione la visita di Zelensky a Roma. Purtroppo, la situazione sembra cristallizzata. Zelensky ha portato la sua testimonianza di Presidente di un Paese aggredito, che si difende, che necessita di armi e che teme forse di essere abbandonato (chissà cosa porteranno le elezioni americane del 2024). Zelensky ritiene Putin un novello Hitler con cui non può esserci trattativa: va sconfitto. Il piano di pace ucraino è sostanzialmente questo. Legittimo, ma è il piano ucraino. Siamo ben distanti da una visione multilaterale. Ora non so se esista un “dietro le quinte” di queste dichiarazioni. Mi auguro di sì e che la diplomazia stia agendo sottotraccia. Registro però con dispiacere l’atteggiamento italiano e, traslato, quello delle cancellerie europee: essere alleati, solidali, cobelligeranti non significa sposare in toto la visione altrui. Zelensky sostiene che si sta combattendo per l’Ucraina ma anche per l’Occidente, a difesa di quell’Europa di cui vuole far parte. All’Unione Europea manca il coraggio di un’ammissione straordinaria e in tempi eccezionalmente brevi dell’Ucraina nella Ue. Sarebbe un significativo segno di solidarietà e di “ombrello” diplomatico. Ma a un diritto, soprattutto se concesso in via eccezionale, corrisponde un dovere: penso ad esempio al ripristino delle opposizioni messe fuori legge e alla ratifica da parte dell’Ucraina dell’adesione alla Corte penale internazionale dell’Aja. Dire che si pretende giustizia e non ratificare lo Statuto che ha permesso l’incriminazione di Putin appare un controsenso. La difesa dei propri confini e della propria sovranità non deve sfociare in un nazionalismo pericoloso e borderline, soprattutto in un Paese zeppo di armi. Bisogna prestare attenzione ai rischi di un’Europa a trazione nazionalista. Evitare di cadere nelle stesse trappole di cui è “vittima” il nemico. Da parte di Zelensky traspare la delusione per il mancato rispetto degli Accordi di Minsk. All’epoca mediatori furono Francia e Germania. Ora che la situazione è più grave, gli “attori” devono essere più pesanti. Stati Uniti e Cina in primis. Ma l’Europa non può stare a guardare e deve trovare la sua voce. Accanto all’Ucraina ma non pedissequa. Parafrasando “ Toy Story”, la strategia europea non può essere esclusivamente rifornimento di armi «fino all’infinito e oltre», bisogna intravedere una via d’uscita.
Daniele Piccinini
Gentile dottor Piccinini, grazie della sua articolata lettera cui il direttore Girardo mi invita a rispondere. Lo faccio volentieri, perché i temi che Lei solleva sono centrali nella crisi che attanaglia l’Europa (e non solo) dal 24 febbraio 2022 (anche se alcune sue radici sono più antiche). Ha ragione nell’affermare che la situazione sembra purtroppo cristallizata e che l’Europa dal punto di vista della propositività diplomatica non è riuscita ancora a trovare una propria via efficace. Ma nessuno, tranne il Papa e la Santa Sede, ha avuto finora il coraggio e la forza di proclamare che la guerra non può essere la soluzione conclusiva e che bisogna sedersi al più presto a un tavolo di trattativa. La sua proposta di sparigliare lo scenario geo-politico con un’ammissione lampo dell’Ucraina nella Ue è certamente affascinante. Si tratterebbe di una mossa capace di rompere gli schemi che oggi guidano gli eventi. Ma, come ho scritto in qualcuno dei “punti” con cui seguo dal primo giorno il conflitto su “avvenire. it”, si deve riconoscere che portare Kiev come 28° Stato membro metterebbe immediatamente l’intera Unione nell’obbligo di prendere le armi per difendere i propri confini violati e continuamente minacciati. Ritengo che sia questa la principale difficoltà dell’allargamento e non la imperfetta democrazia di Kiev (a meno di pensare che la Ue nel suo complesso riuscirebbe a convincere il nuovo membro a trattare subito a certe condizioni, interrompendo le ostilità, cosa piuttosto improbabile). Di sicuro, lo Stato di diritto anche sotto Zelensky non funziona ai suoi migliori standard. Le opposizioni ritroveranno il loro pieno spazio di manovra e la procedura di adesione alla Corte penale internazionale verrà completata (peraltro il governo sta collaborando da tempo con l’Aja anche se a livello non formale) una volta terminato il conflitto. E allora l’ingresso di Kiev nella famiglia europea andrà spedito e senza ostacoli. Il problema è come mettere fine all’aggressione russa e trovare un nuovo equilibrio che garantisca il ritorno di una pace duratura. La gran parte dei Paesi Ue è impegnata nel sostegno militare, economico e umanitario all’Ucraina. Tuttavia, è reale la necessità, anche per un’onesta e realistica considerazione di quanto la gente continuerà a essere fortemente simpatetica con la resistenza del Paese ferito, di prospettare un cessate il fuoco che metta fine alla carneficina sui campi di battaglia e nelle città e apra la strada a un’intesa fra le parti. Come arrivare a questo esito se il Cremlino non sembra intenzionato a fermare la propria macchina bellica né a ritirarsi sulle posizioni antecedenti l’invasione? Si può chiedere all’Ucraina di rinunciare al 20% dei propri territori dopo così tanti lutti già sopportati? E accettare le condizioni di Vladimir Putin non è cedere alla legge del più forte e lasciarlo in posizione di insidiare domani altri Paesi di confine (come temono le nazioni Baltiche e anche la Polonia)? Domande ineludibili. Si deve però continuare a esercitare una fantasia diplomatica che non sia solo al rimorchio delle operazioni sul terreno. Accordi parziali che lascino tempo alle ferite di rimarginarsi, senza pregiudicare lo status finale delle zone illegalmente occupate, potrebbero essere ciò che permette a entrambi i contendenti di fare tacere le armi senza dovere riconoscere immediatamente la sconfitta e rinunciare alle proprie pretese. L’Europa dovrebbe offrirsi promotrice di ipotesi simili, facendosi garante che le intese siano rispettate. Forse più una speranza che una concreta possibilità. Ma è giusto spingere avanti i cuori perché non prevalga la prudenza cinica di chi ignora per convenienza il grido delle vittime innocenti.