Non vi è àmbito della convivenza civile, nel nostro Paese e nel mondo, che non sia solcato da un lancinante anelito di giustizia. La «questione-giustizia» è l’emergenza sociale che trabocca dai colloqui in famiglia, tra amici o colleghi, riempie le colonne dei quotidiani e segna le agende politiche di legislatori e governanti. Al di là di ogni considerazione sfuggente o ponderata su di essa, ancor prima e più profondamente, sino a scavare nella carne e nello spirito di milioni di persone, l’ingiustizia è la causa della più atroce delle sofferenze, quella che non scaturisce dall’ineluttabile corso degli eventi, nel loro corpo e nella mente così come nell’ambiente in cui sono immersi, ma dall’azione degli uomini stessi, dimentichi del loro destino e di quello degli altri. Non sono la malattia, gli incidenti della vita o le calamità naturali a umiliare e ferire più profondamente la persona, ma l’amarissima realtà di non essere incondizionatamente riconosciuta come tale, in ogni circostanza dell’esistenza e in ogni luogo e tempo della storia. Ancora una volta il Papa ha sentito ieri il dovere di ricordare a coloro che sono chiamati a prendersi cura, professionalmente o politicamente, della salute dell’uomo, che occorre «dare un volto davvero umano ai sistemi sanitari» nazionali e internazionali, collocando «la giustizia sanitaria [...] fra le priorità nell’agenda dei governi e delle istituzioni». Fuori da ogni equivoco, Benedetto XVI ha esplicitato in che forma si realizza un’autentica giustizia nei rapporti tra gli uomini e tra l’uomo e tutto ciò che esiste: quando «si guarda al mondo con lo sguardo del Creatore, che è sguardo d’amore» e di verità. A fondamento della giustizia non sta una pur legittima e attenta ponderazione delle esigenze (spesso conflittuali) tra le parti in causa, né un esercizio di equilibrismo politico tra i pareri della maggioranza e della minoranza di chi deve decidere, e neppure un’acribiosa statistica delle conseguenze positive e negative di talune scelte, ma anzitutto il riconoscimento, umile e deciso (umiltà e determinazione non si elidono a vicenda, ma si completano l’una attraverso l’altra), della realtà dell’uomo e del mondo attraverso l’intelligenza e l’amore. La verità e l’amore, come lo stesso Papa Ratzinger aveva richiamato nell’enciclica
Caritas in veritate, sono la via maestra che porta a ricercare il bene individuale e comune in ogni declinazione dell’agire umano e fanno della giustizia una virtù privata e pubblica al medesimo tempo.Così, la ricerca della «giustizia sanitaria» – come l’ha definita ieri il Papa – non può essere ridotta al gioco del reperimento delle risorse necessarie per erogare livelli minimi di assistenza a tutti gli aventi diritto, né all’irrequieta tensione, sempre inesausta, al miglioramento della quantità e qualità delle prestazioni fornite – un processo che, ha osservato il Pontefice, «rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo» – ma deve trovare la strada di un «amore alla giustizia». In cosa consista l’amore alla giustizia Benedetto XVI lo esprime così: «La tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano», che «vanno sostenuti e testimoniati anche controcorrente». La misura della giustizia è la verità dell’uomo, di tutto l’uomo e di ogni uomo. La vita dell’uomo non è misurata dalla giustizia, né può essere messa sul piatto di una bilancia, qualunque peso si metta sull’altro. «Il mondo – anche quello sanitario – ha bisogno della verità che è giustizia e di quella giustizia che è verità» (Pio XII).Con la libertà che è propria degli uomini, in cui la lucidità della ragione si coniuga con l’amore alla verità, il Papa ha denunciato come «ferite della giustizia sanitaria» quelle che molti, oggi, considerano conquiste dell’assistenza medica: la «cosiddetta salute riproduttiva», le «tecniche artificiali di procreazione comportanti la distruzione di embrioni» e «l’eutanasia legalizzata». Così dicendo, il Santo Padre sa che non tutti, tra gli operatori sanitari, lo seguiranno. Ma, come diceva già Aristotele, ripreso da san Tommaso, «pur essendoci care entrambe le cose, gli amici e la verità, è dovere morale preferire la verità».