Trasparenza e preghiera. L’intreccio tra il dovere della verità e il bisogno del gesto più autentico del credente s’è materializzato ieri, quando la Santa Sede ha diffuso una «guida» per capire le regole e le procedure nei casi di abuso, e la presidenza della Cei, appena dopo, ha chiamato la Chiesa italiana (noi tutti, uno per uno) a pregare per il Papa. Due volti della stessa preoccupazione, in un’ora aspra di prova che è riservata a Benedetto XVI ma che non possiamo non sentire anche nostra, perché nessuno di noi è una semplice comparsa nella storia cristiana.E dunque non si può chiedere verità senza sentirsene chiamati in causa, testimoni di questa verità necessaria e doverosa insieme a tutta la Chiesa, noi stessi parte di un corpo che è mistico ma fatto di uomini, santo per natura ma fragile per costituzione. Noi allo specchio, ognuno con le proprie magagne – certo non abomìni, ma le piccole e grandi cadute della lotta di ogni giorno –, cristiani perché uomini. Vederla altrimenti equivale a parlare di una giustizia tutta formale, che non è quella evangelica radicata nella misericordia: una giustizia senza speranza, senza redenzione.E dunque, è indispensabile legare verità e preghiera: non si può esigere la prima senza sentirsi esposti in prima persona nella seconda, nel colloquio con Dio, nell’invocazione di grazie, di forza, di perdono, per noi, per tutti. Che Chiesa sarebbe quella dove ci sono gli imputati e gli spettatori, il palco e la platea, la gogna mediatica e i curiosi? Abbiamo, per di più, davanti agli occhi l’esempio infinitamente coraggioso di un Papa che conduce per mano la Chiesa a non aver paura di fare i conti con lo "sporco" al suo interno – in quei pochi angoli dove s’è insediato e nascosto –proprio perché ora c’è più luce per vederlo. La stessa nota vaticana diffusa ieri a uso dei non specialisti in diritto canonico sostanzialmente richiama – e non allestisce a uso dei media, avidi d’insabbiamenti presunti e di ammissioni vergognose – le norme di un
motu proprio di nove anni fa e del Codice di diritto canonico che di anni ne ha ben 27. Norme piuttosto note, ma che oggi si avverte opportuno illustrare, ribadire, dettagliare, senza alcun timore, inclusa quella che prevede sia dato «sempre seguito alle disposizioni della legge civile». Trasparenza, appunto, per una verità che non sia generico giustizialismo ma sostanziale risanamento. In quelle regole si dicono cose severe e impegnative, norme che le istituzioni civili e private dovrebbero prendere a modello per contrastare un fenomeno purtroppo dilagato in molti ambienti (il turismo come la pubblicità, per dirne due che non sembrano suscitare alcuno scandalo) e che invece, giornali alla mano, pare riguardare solo la Chiesa. Ancora ieri, la stampa liberal americana – della quale tanta parte della nostra s’è acconciata a porsi come discepola zelante e copiona – attaccava a testa bassa con l’intento sempre più scoperto di screditare a tutto campo Chiesa e Papa, e non solo in quell’America nella quale il cattolicesimo è segno pubblico ancora fortemente identitario. Con un pastore come Benedetto, però, capace di operazioni di verità come quella cui stiamo assistendo in questi mesi, il popolo di Dio non può lasciarsi impaurire. Ecco perché pregare per lui è oggi indispensabile, un’esigenza del cuore, ma anche la garanzia che l’esperienza cristiana non si lascia sgretolare da nessuna chiacchiera. In un mondo che del verosimile e del posticcio ha fatto il suo idolo culturale, la verità della Chiesa è destinata a far sempre più "scandalo". Sostenerne l’incedere contro tutte le correnti, con una preghiera semplice e tenace: ecco l’impegno all’altezza di un cristiano.