rotenzialmente, una rivoluzione che potrebbe cambiare il volto della Comunione anglicana così come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Con centinaia di migliaia di credenti – ma qualcuno dice milioni – che potrebbero passare da Canterbury a Roma. Un’emorragia di parrocchie e intere diocesi difficile, al momento, da calcolare, ma comunque di certo ampio. Tanto da far già parlare, sulle rive del Tamigi, di «resa» del primate Rowan Williams di fronte alle questioni che per oltre vent’anni hanno scavato fino a lacerare il tessuto connettivo dell’anglicanesimo: l’ordinazione delle donne, e l’accesso all’episcopato ancora delle donne, e di omosessuali dichiarati e conviventi.In realtà – anche in attesa di conoscere nel dettaglio cosa prevede la Costituzione apostolica, annunciata ieri, che consentirà il rientro nella piena comunione con Roma delle comunità anglicane che vorranno richiederlo – la situazione è molto più complessa, e significativa, di quanto possa apparire in un primo momento. E coinvolge da un lato il futuro della Comunione anglicana e, dall’altro, la visione ecumenica di Benedetto XVI. Il quale, in assoluta coerenza con quanto dichiarato nella sua prima omelia da Pontefice, ha impresso al cammino per l’unità un’accelerazione davvero impressionante. E in questo senso non c’è dubbio che l’annuncio congiunto, a Roma e a Londra, dell’iniziativa di Papa Ratzinger, rappresenti non solo una novità assoluta, ma anche un segnale ben preciso. A sottolineare che, se la Costituzione apostolica non è certo frutto di una trattativa, la vicenda, pur nella sua estrema delicatezza, ha trovato uno sbocco positivo per tutti. Uno sbocco, soprattutto, in grado di non compromettere il prosieguo del dialogo. Rimarcando anche che, senza quei problemi, probabilmente oggi le due Chiese sarebbero nel loro insieme molto, ma davvero molto, più vicine.Non c’è infatti dubbio che, mentre risponde alle pressanti domande provenienti da quei settori dell’anglicanesimo disorientati da derive ritenute troppo "liberal", la nuova Costituzione, offrendo un’alternativa a tali istanze, dia allo stesso tempo alla Chiesa Anglicana l’opportunità di mantenere la sua natura di "Comunione". Un elemento decisivo, questo, rispetto alle potenziali derive che, nella Conferenza di Lambeth dello scorso anno, aprivano scenari di polverizzazione di una tradizione secolare, e che invece potrebbe consentire all’arcivescovo di Canterbury di portare avanti quelle correzioni di rotta che proprio a Lambeth sono state avviate.Certo, per la Chiesa cattolica sarebbe stato facile ricorrere a soluzioni più semplici, come una qualche forma di "uniatismo". Ma questo avrebbe finito per allontanare, invece che avvicinare, Roma e Canterbury. E non c’è dubbio di come in questa scelta ci sia forte l’impronta di un Papa che, davanti ai cardinali che l’avevano eletto, si è assunto come accennato, fin dal suo primo giorno da successore di Pietro, «come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo». Impegno per un’unità autentica, senza equivoci né compromessi. Che ha portato a progressi decisivi nei rapporti con la Chiesa Ortodossa – per i quali ormai già da tempo si dice essere entrati nella «terza fase» –, a chiarimenti fondamentali con le Chiese riformate, e a riaprire la porta agli scismatici lefevbriani. E che continua a dire, nei gesti concreti, che il «perché tutti siano uno» non è un optional, ma un dovere. Da perseguire nella verità e nella carità. Lavorando per evitare nuovi strappi e ricucendo, pazientemente, il tessuto connettivo della fede dei seguaci di Cristo.