giovedì 10 giugno 2010
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Il quarto giro di sanzioni Onu contro l’Iran ha più valore diplomatico che reale peso operativo. Il giudizio è ampiamente diffuso: non devono ingannare i commenti positivi americani e le minacciose proteste di Teheran. Washington è riuscita a convincere Mosca e Pechino, pur al prezzo di un ammorbidimento del pacchetto votato ieri in Consiglio di Sicurezza e ciò servirà almeno a tenere formalmente compatto il fronte dei Grandi, a parole tutti ostili al programma atomico militare degli ayatollah. Si sono sganciati (votando no) Turchia e Brasile, che avevano giocato una propria carta negoziale, la quale prevedeva l’arricchimento ad Ankara dell’uranio iraniano.I proclami di Ahmadinejad rientrano in un copione consolidato, mentre da mesi ci si preparava ad eludere il debole giro di vite deciso dalle Nazioni Unite. Il controllo in alto mare delle navi che potrebbero trasportare materiale fissile e attrezzature verrà in parte aggirato con le coperture che la flotta statale dell’Irisl (Islamic Republic of Iran Shipping Lines) ha già costruito avvalendosi di compagnie private estere che non sono sulla lista nera, secondo quanto ha documentato il New York Times. Le altre misure – commerciali e finanziarie volte a impedire forniture belliche – non metteranno certo in ginocchio il regime, come forse avrebbe fatto una stretta decisa sugli approvvigionamenti energetici, in particolare sulla benzina, di cui paradossalmente l’Iran – tra i massimi produttori di greggio – è un importatore. Ma su quel versante, Russia e Cina, ambigui sponsor di Teheran, non hanno voluto seguire Obama, che si è dovuto accontentare di un appoggio alle sanzioni più blande.Non è quindi difficile prevedere che negli impianti, ormai non più segreti, si continuerà alacremente a lavorare per la realizzazione di ordigni nucleari. Quanto l’Iran sia vicino alla meta non è dato di sapere, il traguardo temibile (per la regione e il mondo) potrebbe non essere così vicino, comunque il tempo sembra lavorare a favore del regime.La strategia Obama per ora non ha dato migliori risultati di quella Bush. La mano tesa e le offerte di dialogo d’inizio mandato potevano servire a spiazzare Teheran e dare fiato all’opposizione, in un tentativo di innescare un cambiamento dall’interno. Quanto brutalmente sia stata soffocata la «rivoluzione verde» dello scorso anno è purtroppo storia nota. E altre iniziative internazionali contro il Paese, sebbene mirate per non colpire la popolazione, finiranno con l’alimentare la propaganda che cerca di delegittimare chi dissente quale «nemico della patria». La verità è che Russia e Cina, in diversa misura e con differenti scopi, utilizzano questo focolaio di tensione per i loro interessi in Asia e le proprie partite con gli Stati Uniti. Perciò isolare davvero un Iran definitivamente chiuso a ogni seria trattativa, come vorrebbero l’America e (forse) l’Europa, resta un’impresa quasi impossibile. Se si esclude l’opzione militare dalle mille incognite (alcuni generali Usa escludono perfino che possa avere successo a meno che si proceda a un’invasione del Paese), potremo davvero svegliarci con una seconda potenza atomica in Medio Oriente. Ed è questa l’altra incognita nella complessa equazione. La prima potenza, Israele, che comportamento adotterà nella vicenda? Tollererà la minaccia sciita o cercherà un’azione di forza preventiva?Ecco perché, dietro il lavorio diplomatico e la "faccia feroce" mostrata in pubblico, gli strateghi di Washington stanno già lavorando anche a uno scenario in cui si debba provvisoriamente "convivere" con l’arsenale di Teheran, all’interno di un nuovo equilibrio asimmetrico in stile Guerra fredda.
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