Una riforma proiettata nel futuro, con radici ben piantate nel passato. Potremmo definire così la riforma della scuola targata Renzi-Giannini. Diverse e significative le novità annunciate: i presidi responsabili del team educativo e con possibilità di scegliere alcuni dei loro docenti, l’introduzione dell’organico funzionale per rafforzare l’offerta formativa del singolo istituto, l’impegno nella formazione permanente dei docenti a cui legare parte degli incentivi di merito, l’attenzione per un percorso di studi che 'recupera' materie dimenticate come musica e arte (peccato per la geografia non più rivalorizzata). Misure che riconducono a una sola parola: autonomia, come previsto dalla legge del 15 marzo 1999. Questa è la prima delle due radici a cui la riforma, ora proposta all’esame del Parlamento, sembra volersi ancorare. L’altra è rappresentata dalla legge 62 del 10 marzo 2000 che fece nascere il sistema unico nazionale di istruzione, costituito dalle scuole statali e dalle scuole non statali paritarie e degli enti locali, come recita l’articolo 1 della legge. Autonomia e parità, due facce della stessa medaglia. Ma soprattutto le gambe con le quali la scuola italiana è chiamata a camminare più speditamente. Il provvedimento varato dal governo ha il merito di aver ribadito questi due aspetti, elencando una serie di azioni e scelte che dovrebbero rendere sempre più concrete sia l’autonomia sia il sistema paritario. La vera sfida, affidata da Palazzo Chigi alle Camere, sta proprio in questo: non tanto nel pur importante piano straordinario di assunzioni di docenti per porre fine a un precariato storico – atto dovuto anche alla luce della sentenza europea – quanto gli articoli che disegnano una scuola capace di coinvolgere gli studenti, di offrire loro docenti preparati e capaci, percorsi di formazione aggiornati e legati al mondo del lavoro.Un passo avanti, per quanto ancora incompleto, che merita di essere confermato dal Parlamento. Se l’autonomia è ben evidente nella riforma, per la parità scolastica troviamo un riferimento nell’articolo in cui si parla della possibilità per le famiglie di detrarre le spese sostenute per la frequenza delle scuole del sistema nazionale di istruzione (statali e paritarie). Passaggio piccolo ma importante perché ribadisce il principio sancito nella legge 62. Si è individuato lo strumento della detrazione fiscale – anche se sarebbe stato meglio prevedere un bonus attribuito alle famiglie (utilizzabile anche da quelle incapienti) – ma poi si indicano tetti e percentuali che, alla fine dei conti, permetteranno alle famiglie di recuperare al massimo un centinaio di euro. Un risultato che lascia l’amaro in bocca. Ora, dopo tanti annunci, ci si misura con indicazioni concrete, coraggiosamente offerte alla valutazione del Parlamento e dell’opinione pubblica e per più di un verso seriamente innovative. Dopo quasi vent’anni di riforme e contro-riforme, la scuola ha bisogno di risposte certe, condivise e, soprattutto, durature. La politica ha il dovere e il potere di avviare una fase davvero nuova.