venerdì 5 dicembre 2008
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Seguiamo con profonda apprensione quanto sta avvenendo in questi giorni in Lussemburgo, dove il Parlamento sembra apprestarsi a votare la legge sulla depenalizzazione dell'eutanasia e dell'assistenza al suicidio. Di fatto, se questa legge dovesse essere approvata, il Lussemburgo verrebbe a porsi in quella zona d'ombra in cui si sono inseriti quei pochi Paesi europei che hanno accettato la triste sorte dell'eutanasia. Per paradossale che possa sembrare, a nessuno può sfuggire anzitutto la profonda contraddizione che segna questo passaggio dove, insieme all'eutanasia viene discussa un'altra legge sulle cure palliative. Si tratta, come è noto, di soluzioni in un certo senso opposte. Con le cure palliative, infatti, si cura il malato terminale togliendogli la sofferenza; con l'eutanasia, invece, la medicina viene utilizzata non per curare eliminando il dolore, ma per togliere la vita. È dunque contraddittorio mostrare il volto della pietà con una legge sulle cure palliative e, nello stesso tempo, con una diversa legge sull'eutanasia, mostrare il volto tragico della fine della vita senza la libertà autentica di affrontare l'inevitabilità della morte con vera dignità personale e con la debita assistenza. Da una parte si tende la mano al paziente in stato terminale evitandogli giustamente ogni sofferenza e con l'altra si arma il colpo fatale con l'inserimento dell'eutanasia come soluzione finale. La vita non è un contenuto negoziabile. Essa nonostante qualsiasi legge degli uomini rimarrà sempre fondata su quel principio di indisponibilità che nessuna azione politica può attentare nella sua inviolabilità e sacralità. L'insegnamento della Chiesa, fondato sulla natura dell'uomo, è stato esplicitato nell'Enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, quando in proposito ha definito: «Con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale ... La scelta deliberata di privare un essere umano della vita è sempre cattiva dal punto di vista morale e non può mai essere lecita né come fine, né come mezzo per un fine buono». La Congregazione per la Dottrina della Fede nella sua Nota dottrinale riguardo l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica ha ribadito che: «Quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il preciso obbligo di opporsi a ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l'impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto». Questo insegnamento orienta in modo sicuro un parlamentare cattolico che voglia presentare la sua azione politica come ispirata dalla sua fede pur nella legittima autonomia propria delle Istituzioni e della necessaria laicità per il rispetto di tutti. Ogni parlamentare cattolico, pertanto, in coscienza retta deve opporsi con il suo voto a una legge che sostiene la legittimità dell'eutanasia. La libertà del parlamentare nuoce al bene comune quando la sua scelta politica si fonda su un terreno relativista che confonde come lecite tutte le posizioni in nome della libertà individuale. Vale anche la pena di aggiungere che il parlamentare cattolico in questo caso specifico non può neppure appellarsi al principio del "male minore", secondo l'insegnamento di Evangelium vitae. Questa legge, infatti, non ha alcun valore restrittivo nei confronti di una legge precedente, essendo la prima volta che viene affrontata dal Parlamento del Lussemburgo. D'altra parte, il cittadino cattolico dovrebbe riflettere seriamente nel momento in cui con il suo voto fosse chiamato ad eleggere un parlamentare che ha sostenuto e votato una simile legge che contraddice totalmente l'insegnamento di Cristo e della sua Chiesa, negando nello stesso tempo la legge morale naturale. Nessuna istituzione parlamentare può nascondersi dietro i sofismi quando è chiamata a legiferare sull'inizio della vita e la sua fine. La dignità della persona, di ogni persona e in qualunque situazione si trovi, soprattutto quando è in stato di maggior debolezza, va garantita e difesa contro ogni tentativo più o meno larvato di compassione per condurla all'eutanasia. Il principio di autodeterminazione a cui spesso qualcuno si richiama va compreso nella sua giusta interpretazione. Esso può sempre e solo essere un atto con cui si sceglie la vita, mai la morte. Contrariamente saremmo in presenza di una scelta arbitraria che nulla ha da spartire con la libertà. L'eutanasia, a dispetto della sua semantica ("dolce morte"), è in ogni caso un'azione violenta contro la vita e un atto di sfiducia nel progresso della scienza medica. Talvolta l'appoggio ad essa è determinato dalla mancata comprensione della contraddizione esistente fra l'eutanasia e cure palliative. In ogni caso sarebbe pericoloso e avvilente per un parlamentare rincorrere i vari sondaggi che spesso vengono fatti conoscere strumentalmente e che poca attinenza hanno con la verità. Il sentimento in alcuni casi specifici spesso annebbia la mente e impedisce di dare risposte razionali. Il legislatore, tuttavia, deve saper dare prova di lucidità e lungimiranza sapendo quanto vi è in gioco. Nessuno può pretendere di diventare arbitro della vita e della morte. Una depenalizzazione nulla toglie al male oggettivo che una simile legge contiene. L'unico emendamento valido può essere solo la sua cancellazione. Non possiamo che condividere le sagge espressioni del nostro confratello l'Arcivescovo del Lussemburgo, monsignor Fernand Franck, quando ha detto che chi cammina sul sentiero della speranza può solo giungere a una società migliore mentre chi si affida al desiderio della morte apre le porte all'arbitrio e mina le fondamenta del vivere sociale e civile. Nessuno, pertanto, si arroghi il diritto di sostituirsi al Creatore. La vita e la morte appartengono a lui solo.*Arcivescovo, presidente della Pontificia Accademia per la vita
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