«Padre nostro che sei ad Assisi», titolava un quotidiano all’indomani dello storico evento voluto da Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1986.
Come dire che il Dio che si cerca o si adora, a cui spesso si pensa e di cui tanto si parla, il Dio vicino o lontano, negato da sofferenze e ingiustizie, dagli odii e dalle guerre in suo nome, ritenuto morto per sempre ad Auschwitz, si era riaffacciato e poneva una tenda per essere nuovamente incontrabile. La scena di quell’ottobre lontano fu forte e suggestiva, incredibile eppure vera.
Proprio Francesco d’Assisi, ammoniva: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile». E Papa Giovanni Paolo aveva accolto tale indicazione, divenendo protagonista e testimone di processi impossibili: da Assisi al crollo del muro di Berlino e oltre.
Benedetto XVI – giusto un mese fa, a 25 anni esatti da quel primo evento – non ha replicato un gesto noto. Lo si capirà meglio col tempo, riflettendo sulle dense parole del nuovo 27 ottobre. Non ha solo ricordato, ma inquadrato, in un alveo tracciato, una riflessione nuova per le inedite sfide alla pace e le aggressioni all’esistenza della fede e delle religioni.
Abbattendo l’antico muro di diffidenza, ha gettato un ponte tra religioni e non credenti, mettendo le une davanti agli altri, per dire ciascuno la propria parola più autentica all’umanità e aprire una nuova stagione di ricerca di verità e di pace. Papa Benedetto ha invitato dei non credenti particolari: non i campioni dell’«antireligione», ma «persone alle quali non è stato dato il dono di poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio».Lo spirito di Assisi ha compiuto così un balzo in avanti e chiede a ciascuno una dilatazione dello sguardo che include ogni uomo e ogni donna del pianeta. Quell’invito non è da considerare un gesto di cortesia. È un invito coraggioso ed esigente per l’invitante e l’invitato. Una religione che vuole purificarsi sinceramente non ha paura di chi muove una critica costruttiva: «La loro lotta interiore – ha detto, infatti, il Papa – il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la loro fede, affinché Dio il vero Dio - diventi accessibile. Queste persone – prosegue Benedetto XVI – cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta». La loro presenza è dunque necessaria all’opera comune di diventare «pellegrini della verità, pellegrini della pace». Un invito pressante, davanti all’ultimo dissolversi delle ideologie e alla constatazione della multiforme sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Davanti alla complicità, silenziosa o aperta, delle religioni con diversi tipi di violenza e di guerra, un’area vasta della cultura del Novecento ha spinto la riflessione alla radice stessa delle religioni insinuando la loro futilità, inutilità o ha teorizzato la loro distruzione come atto di liberazione dell’uomo. «Padre nostro che sei nei cieli, restaci!», gridava Jacques Prévert, nel 1946.
Una crociata di liberazione perseguita in modo crescente da poteri che non hanno certo a cuore la liberazione, quanto il dominio nel costruire le nuove religioni dell’«adorazione di mammona, dell’avere e del potere in cui non conta più l’uomo ma solo il vantaggio personale» (Benedetto XVI, discorso in Santa Maria degli Angeli).
Ed ecco che gli invitati hanno risposto, davanti alla Porziuncola, luogo dove non è possibile un pensiero presuntuoso e tronfio. Lo hanno fatto per bocca di Julia Kristeva, psicanalista e filosofa: «L’età del sospetto – così conclude il suo discorso – non è più sufficiente. Di fronte alle crisi e alle minacce che si aggravano, è giunta l’età della scommessa. Osiamo scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità di uomini e donne a credere e a conoscere insieme. Affinché nel 'multiverso' bordato di vuoto, l’umanità possa perseguire ancora a lungo il proprio destino creativo».
Il primo tratto dell’affresco di papa Ratzinger è stato marcato davanti a chi ascoltava: un ripresa di dialogo dopo secoli di diffidenza e di inimicizia, di divorzio tra fede e ragione. In continuità con Giovanni Paolo e la sua rilettura delle vicende del Rinascimento, anche Benedetto accoglie le domande all’origine di quella storica divaricazione. E Kristeva gli risponde proprio con quella parola – scommessa – che Pascal, dalla sponda religiosa, usava nel proprio tempo. Una certificazione di morte del nichilismo? Certo una premessa per un auspicabile clima di ritrovata fiducia, un’alleanza nuova sotto il segno della comune responsabilità verso la famiglia umana in un’epoca di rischi mai visti.
«Padre nostro che sei ad Assisi, restaci!», potremmo allora riformulare. Un’invocazione presumibilmente autorizzata da tutti i pellegrini presenti che, anche se dubbiosi e con punti di vista diversi, però concordano: «Padre nostro, se sei ad Assisi, restaci!»