La visita di Benedetto XVI nella terra di Paolo VI è un dono per tutta la Chiesa. In questo gesto di venerazione e memoria infatti è riconoscibile quell’amore per la paternità e la maternità che strutturalmente anima la comunità cristiana. Il Papa va nella Chiesa di Brescia, fra la sua gente, nella casa natale del suo predecessore, dicendo in questo gesto che se questa comunità è capace di testimoniare Cristo e di offrire speranza con singolare forza, lo deve anche al coraggio che ebbe un uomo della sua terra nell’accettare la gravosa responsabilità di condurre la Chiesa universale. Una paternità, quella di Paolo VI, che in termini umani gli costò immensamente, ma che ha lasciato un’eredità generosa. Il Papa che condusse il Concilio e il giovane teologo tedesco che ne fu consulente ai lavori e poi vegliò sui suoi sviluppi. C’è un filo forte che lega Montini e Ratzinger: l’ansia di confrontare il cristianesimo e la sua tradizione con le sfide poste dalla modernità. Montini – posso testimoniarlo avendolo conosciuto bene – era il Papa della storia, il Papa che si poneva di fronte alla storia fino nella sua quotidiana declinazione che si esprime ogni giorno nei titoli dei giornali. Montini era il Papa che ogni mattina, appena dopo avere detto Messa, leggeva i giornali, e che volle “un” giornale cattolico, Avvenire, che fosse strumento quotidiano di giudizio e voce unitaria della Chiesa italiana. Un progetto che stava dentro l’ansia di portare ai fedeli non parole generiche, ma il confronto puntuale con la concretezza degli eventi; dentro la tensione di un cristianesimo ogni giorno incarnato nella realtà storica.È la stessa passione che si avverte in Benedetto XVI, proprio da Paolo VI nominato arcivescovo di Monaco e poi cardinale. La passione per un cristianesimo che si confronta con la ragione dell’uomo, che si invera ogni giorno in uno sguardo aperto sulla realtà; sguardo sempre memore però delle ragioni della sua speranza.Speranza, ecco un altro filo tenace che lega i due Pontefici. Già ai tempi di Montini la Chiesa avvertiva la urgenza e la gravità delle sfide della modernità. Ma non ho mai sentito in Paolo VI parole di lamentazione di fronte ai tempi nuovi. Uomo di profondissima fede, coglieva con limpida certezza la potenzialità della grazia di Cristo, che occorre solo sapere vedere e cogliere. Della azione redentrice di una salvezza che già opera nella speranza cristiana. C’è un’eco profonda di questa luminosa certezza di Paolo VI nella “Spe salvi” di Benedetto XVI.La stessa premura del Papa per il ministero del sacerdozio, sottolineata in questo Anno sacerdotale, mi riporta allo sguardo di Montini sui preti della Chiesa universale. Uguale la convinzione che il sacerdote è, prima di tutto, con la sua stessa veste un portatore di speranza. Solo per il fatto d’essere stato chiamato, è un testimone, è il portatore di una promessa che non può dimenticare. Ma non si tratta tanto di un “fare”, quanto di riconoscere un dono già ricevuto.Nell’andare dunque di Benedetto XVI a Brescia, oggi, nella casa di Paolo VI, e là dove è stato battezzato, si legge la traccia di una storia fedele e tenace. La memoria del padre onorata, che reca frutti e svela, a chiunque la sappia guardare, la ricchezza di un’eredità cristiana che si tramanda, matura nel suo popolo, e continua a testimoniare Cristo risorto. E a offrire speranza: dentro la storia, tenacemente, ogni giorno.