Eccoci al fatidico sabato 8 agosto, ormai ribattezzato il “giorno delle ronde”. E noi – senza ansie di pregiudizio – aspettiamo la prova dei fatti, consapevoli delle perplessità che già dalla terminologia usata un’iniziativa del genere può suscitare, ma anche di un particolare che, alla lunga, potrebbe rivelarsi positivo: la giornata di oggi, infatti, segna potenzialmente la fine della “sicurezza fai-da-te”. Anche se arriva attraverso un percorso che presenta ancora molte incognite e con esiti che andranno attentamente monitorati. In realtà, la norma che entra in vigore – e, dunque, dalle prossime settimane in sperimentazione – non si limita, a regolarizzare l’attività dei volontari che negli ultimi anni hanno preso a pattugliare le notti di città e cittadine della Penisola, ma ha – sulla carta – l’obiettivo di regolare queste iniziative, stabilendo una serie di princìpi che sindaci (e assessori) dovranno osservare e far osservare. E le regole base – in forza del lavoro del Parlamento e del ministro Maroni, oltreché del contributo trasversale di varie amministrazioni comunali – appaiono alla fine piuttosto definite: per i “rondisti” niente armi, niente divise, niente retribuzione, niente macchie sulla fedina penale e nessuna militanza di partito, più un’adeguata formazione e (probabilmente) un’opportuna certificazione di salute mentale. Volontari non potrà, insomma, fare rima con paramilitari. Le forze dell’ordine non dovranno vedersi penalizzate da un uso improprio delle risorse per la sicurezza. I partiti, in particolare quelli a forte vocazione localistica come la Lega Nord, dovranno resistere alla tentazione di farsi “milizia territoriale”. Gli interrogativi, come detto, non mancano. Soprattutto se, cammin facendo, dovesse riemergere la propensione di taluni poteri locali a interpretare in modo discrezionale e persino creativo i limiti di legge e le ansie di sicurezza dei propri amministrati. O se certi movimenti politici cercassero di rimetter cappello sui ”pattugliamenti” e certi altri – la brutta eco degli scontri di Massa è ancora viva – ritenessero di contromobilitarsi. Come potrebbe accadere tutto ciò? Per esempio, se si lascerà che si giochi con i nomi. I nomi testimoniano la sostanza delle cose. E se non ci appassiona più di tanto la disputa tra chi parla di “rondisti” e chi di “osservatori”, ci interesserà – eccome – conoscere invece i nomi (e gli statuti) che le associazioni si daranno e che i Comuni accetteranno. Sono quei nomi programmatici che aiuteranno a capire che cosa nelle diverse realtà si ha in mente di fare, con quali intenzioni e con quanta chiarezza di valori civici. Sono quei nomi che consentiranno di cogliere se c’è un genuino spirito di servizio a comunità insidiate da reati di forte allarme sociale o se prevale una volontà di presa e di controllo. In definitiva, è anche attraverso quei nomi che potremo renderci conto se, in Italia, si sta arricchendo lo straordinario mondo delle iniziative di impegno gratuito e disinteressato “per” o minaccia di strutturarsi un pericoloso associazionismo “contro”. Ma proprio queste ultime considerazioni suggeriscono, anzi impongono, un’ulteriore (e per noi niente affatto nuova) riflessione sul “reato di clandestinità” che, sempre da oggi, potrà essere contestato a coloro che si trovano irregolarmente nel nostro Paese. Uno Stato ha dirittodovere di stabilire le norme del vivere civile e del civile stare e restare nei suoi confini, e ha anche il compito di evitare che si consolidino situazioni di irregolarità e di abuso. Il “reato di clandestinità” ha, però, in sé la carica negativa di un giudizio sommario e ingiusto. Non solo perché nessun essere umano può mai essere definito “clandestino” sulla faccia della Terra, ma perché nella concreta realtà italiana questo reato – l’abbiamo raccontato e dimostrato, facendo cronaca – rischia di diventare non un’arma contro l’irregolarità (di stranieri e italiani) bensì uno strumento persecutorio (perché rende più deboli e persino ricattabili) nei confronti di migliaia e migliaia di immigrati che abbiamo accolto nella nostra vita quotidiana, traendone piccoli e grandi profitti. La clandestinità viene agitata come reato verso chi insidia la sicurezza di tutti, eppure (nonostante la sanatoria per colf e badanti, anzi anche per certe modalità di quella sanatoria) rischia di colpire duramente chi ha sinora cooperato alla tranquillità di tantissime famiglie . Gli appelli su questo punto – l’abbiamo capito – servono a poco, perciò c’è solo da sperare che in Parlamento e nel governo si guardi senza paraocchi alla realtà. E che, anche qui, i fatti contino più di qualsiasi pregiudizio.