Alla fine il presidente Barack Obama ha incassato un’altra – l’ennesima – bruciante sconfitta: il
Freedom Act voluto dall’amministrazione di George W. Bush dopo l’11 settembre non verrà riformato. In particolare, la National Security Agency (Nsa) continuerà ad avere ampi e discrezionali poteri di intercettazione delle comunicazioni globali. I cittadini americani e quelli di tutto il mondo dovranno rassegnarsi alla prospettiva che le agenzie per la sicurezza degli Stati Uniti possano collezionare i "metadati" delle proprie comunicazioni (cioè non il contenuto delle comunicazioni, ma le identità degli interlocutori e ulteriori specificazioni). E per quel che riguarda i leader degli altri Paesi, questi ultimi dovranno fidarsi delle rassicurazioni presidenziali, circa il fatto che il governo Usa rinuncerà a spiarne telefonate, email e quant’altro. Vedremo se ci saranno tutta questa fiduciosa rassegnazione e tutta questa rassegnata fiducia...Sembra, comunque, passata un’eternità da quando esplose lo scandalo "Datagate", dopo le rivelazioni messe in rete proprio dall’ex analista della Nsa Edward Snowden, nell’estate del 2013. Allora, e nei mesi successivi, la Casa Bianca si trovò in grande imbarazzo quando fu confermato che non solo cittadini comuni, sospetti terroristi o feroci dittatori, ma anche capi di nazioni amiche e alleate venivano regolarmente spiati dagli americani. Soprattutto con la Germania della cancelliera Angela Merkel le relazioni bilaterali subirono un brusco peggioramento, che portò persino all’espulsione di alcuni diplomatici americani in servizio a Berlino, come
personae non gratae: neppure che Berlino fosse ancora la capitale della Ddr…Il progetto di riforma proposto da Obama era figlio dell’imbarazzo di quella stagione, ma, come spesso accade con le iniziative del presidente, è arrivato in aula troppo tardi, quando il sentimento dell’opinione pubblica era cambiato e lo "scambio" tra sicurezza e privacy si è nuovamente spostato a favore della prima. Oggi gli americani sono molto più preoccupati di poter essere nuovamente esposti alla minaccia del terrorismo jiahdista che dell’invadenza delle agenzie governative nella propria sfera privata. I fatti di Ottawa, con l’attacco al Parlamento da parte di un terrorista interno improvvisato, e la diffusione delle stime Onu sulle reclute straniere dell’Is (1.500 al mese di cui una parte occidentali) sta facendo montare la paura del "jihadista della porta accanto". I continui sgozzamenti di ostaggi occidentali, la pretesa capacità di questa sorta di "al Qaeda 2.0" rappresentata dallo Stato islamico di saper colpire anche molto lontano dalle sue basi tra Siria e Iraq stanno contribuendo a ricreare un’atmosfera più vicina a quella in cui il
Freedom Act venne varato.Ha dell’incredibile quanto oggi il presidente Obama appaia in difficoltà nel mettersi in sintonia con la sua opinione pubblica. È una sorta di nemesi quella per cui una presidenza cominciata all’insegna di un’inversione nelle priorità dell’agenda presidenziale tra sicurezza ed economia si concluda quasi esattamente laddove era partita. Ed è piuttosto ovvio che tra poco il nuovo Senato, a maggioranza repubblicana, non farà che accentuare questo nuovo spostamento, considerando che proprio la sicurezza e la politica estera sono stati i temi del Partito repubblicano di questi anni, oltre che essere stati quelli nei quali la riuscita delle politiche presidenziale è stata più fragile.Come dicevamo in apertura, la mancata riforma lascia anche i cittadini non americani ancora esposti alle incursioni degli apparati di ascolto globale a stelle e strisce. Allo stesso tempo però, anche noi, continueremo a fruire dei vantaggi che derivano dall’aver lasciato inalterata quella rete di intercettazione. L’Is rappresenta una minaccia grave non solo per gli Stati Uniti, ma anche e forse ancor più per l’Europa. La maggior prossimità all’epicentro jihadista ci espone a rischi per sventare i quali occorrerà poter contare su tutte le risorse a disposizione. Speriamo che i nostri potenti alleati "ascoltino" nella direzione giusta.