I ceti medi di questi anni sono attraversati da profondi choc. Ieri sono tornati a sottolinearlo con efficacia i risultati di un’indagine Acli-Iref. Esaminando più di un milione di storie di dichiarazioni di redditi attraverso il triennio 2019-2021, l’indagine sottolinea come il reddito di un terzo del campione sia cresciuto in valore reale mentre quello dei restanti due terzi risulti peggiorato.
All’interno di questo secondo gruppo c’è un terzo di contribuenti che registrano cali cospicui, con il 73% di questo gruppo rappresentato da persone che sono nel 20% più povero della popolazione italiana. “Piove sul bagnato” sarebbe la sintesi non scientifica di questo dato che ha motivazioni assolutamente logiche nel fatto che le crisi sono choc asimmetrici che aumentano le diseguaglianze e colpiscono maggiormente i ceti più deboli per svariati motivi (livelli d’istruzione meno elevati, lavori più precari, minori risorse economiche che rischiano di far precipitare sotto la soglia di povertà). Colpisce, da questo punto di vista, come giovani e donne che hanno posizioni di lavoro meno stabili risultino relativamente più vulnerabili e sensibili al problema.
Per capire il triennio di cui parliamo, ricordiamoci che il 2019 è l’anno prepandemia, il 2020 l’anno dello scoppio della pandemia e del lockdown segnato dal maggiore calo dell’economia italiana del secondo dopoguerra e il 2021 l’anno della parziale ripresa post-pandemia. Se aggiungessimo i dati di questo 2022 (non ancora concluso) avremmo sicuramente un quadro ulteriormente deteriorato per l’effetto del raddoppio in media delle bollette dell’energia e dell’inflazione all’11,8% che riduce di più di un decimo il valore reale di redditi e risparmi. Il quadro è, purtroppo, in ulteriore peggioramento.
Due dati illuminanti dell’indagine sono l’aumento delle diseguaglianze come differenza tra reddito medio del primo e dell’ultimo 20% dei percettori di reddito, il calo delle spese sanitarie nell’anno della pandemia e la forte differenza di spesa sanitaria tra ricchi e poveri. Emerge da queste evidenze una caratteristica chiave del nostro sistema sociale: l’eccellenza della sanità pubblica che garantisce eguaglianza di accesso gratuito alle cure mediche in condizioni gravi (in situazioni di pronto soccorso per intenderci), ma cela diseguaglianze profonde per quanto riguarda le cure in condizioni non gravi. I binari in quel caso diventano due. Per chi non ha assicurazione privata o risorse economiche sufficienti resta il settore pubblico con le sue lunghe file d’attesa (che si trasformano in paralisi nell’anno della pandemia) mentre per i più abbienti c’è la possibilità di accelerare i tempi nel privato. Tutto questo si traduce in differenze di aspettativa di vita che possono arrivare fino a 7-10 anni.
Le strategie per affrontare il problema in futuro si giocano su tre piani che le leggi finanziarie devono e dovrebbero tenere in considerazione. Il primo, non ci stanchiamo di ricordarlo, è quello della libertà energetica. Accelerando le autorizzazioni per i progetti di grandi impianti già sul tavolo e la nascita delle comunità energetiche possiamo liberarci da quella dipendenza dalle fonti fossili che la causa dei due choc ultimi (bollette e inflazione) sulla povertà. Il secondo è un intervento deciso sul fronte della formazione e del mismatch (la contemporanea presenza di un elevato tasso di disoccupazione assieme a decine di migliaia di posti di lavoro vacanti, soprattutto nel settore della transizione ecologica e digitale) migliorando formazione e inserimento lavoro che sono decisivi in un mondo con traiettorie tecnologiche che mutano così velocemente. Il terzo è una concezione del welfare dove si comprende che oltre a interventi necessari e doverosi su pensioni minime e reti universali contro la povertà, la relazione, la presa in carico e l’accompagnamento sono i fattori chiave per favorire il reinserimento dei più fragili e degli scartati. Poiché il primo luogo di relazioni e accompagnamento è quello familiare gli interventi a sostegno dei nuclei sono da questo punto di vista fondamentali.
A monte di questi tre piani, c’è l’importanza decisiva di un’innovazione di processo nella vita sociale e politica rappresentata dall’amministrazione condivisa e dalla coprogettazione tra pubbliche amministrazioni, Terzo settore e società civile. La sentenza della Corte costituzionale (131 del 2020) ci spiega bene il perché quando ricorda che «gli enti di Terzo settore (…) spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”».
Gli amministratori lungimiranti ormai in molte parti d’Italia progettano oggi il welfare assieme alle parti in causa e alle associazioni di territorio per dare risposte strutturali e superare il modello della chiamata per mettere una toppa alle emergenze. Piuttosto che strillare la notizia di questo o quel criminale con il reddito di cittadinanza (notizia singola di per sé assolutamente irrilevante ai fini della valutazione dell’impatto della misura) sarebbe bene che anche sul piano della comunicazione riuscissimo a fare un salto di qualità per ragionare su questi aspetti decisivi per combattere povertà e marginalizzazione e rendere la nostra società più resiliente di fronte alle sfide future.