venerdì 17 luglio 2009
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Esiste un’opinione pubblica cattolica europea? Vedete uno spazio pubblico europeo nel cui perimetro possano confrontarsi le diverse opzioni antropologiche? C’è un sistema dell’informazione che garantisca effettivamente in Europa la circolazione delle idee e dei valori ad esse sottesi? Queste domande ci paiono ancor più pertinenti sulla scorta di quanto è accaduto a Leopoli, in Ucraina, nei giorni scorsi. Il solo fatto che i segretari generali delle conferenze episcopali del Continente abbiano parlato del "caso Eluana" è di per sé emblematico. Se da un lato sottolinea il valore strategico di quanto è accaduto e accade in Italia sul fronte del fine vita, dall’altro testimonia come le barriere fra le nazioni europee si stiano effettivamente assottigliando e come quanto accade in un determinato Paese e per un certo popolo, non possano essere indifferenti per le altre nazioni e per le altre popolazioni. La denuncia fatta dai vescovi continentali, pur nello stile sobrio del comunicato finale, non lascia dubbi sulla preoccupazione che serpeggia nell’episcopato: «In Europa si stanno diffondendo alcuni fenomeni che feriscono la dignità della persona e che preoccupano la Chiesa per il modello antropologico che veicolano, piuttosto lontano dalla cultura della vita e dal modello naturale della famiglia». Gravi interrogativi, vengono poi sollevati, su «pretesi valori che finora alcuni rappresentanti della Ue, tramite la legislazione europea, hanno cercato di diffondere nei singoli Paesi, specie nell’ambito dell’educazione, del ruolo della religione, della vita e della famiglia, e che sono un rischio per la stessa visione della persona umana». Se questa è la soglia di preoccupazione dei vescovi, non può e non deve mancare un duplice impegno dei laici cattolici, nella loro veste di rappresentanti politici, qualora siano stati eletti nelle massime assemblee legislative, ma soprattutto come soggetti sociali. Se è certamente esigua la pattuglia parlamentare europea schierata in prima fila sulla frontiera della vita e della famiglia, è pur vero che molte alleanze andrebbero costruite all’interno del Parlamento di Strasburgo. Così come si dovrebbe poter contare su una maggiore assunzione di responsabilità da parte del Partito popolare europeo, senza però trascurare un dialogo costruttivo con quei settori riformisti europei che, nel tempo, hanno maturato una posizione meno aggressiva nei confronti delle ragioni dei cattolici. Ma ci sono almeno altri due fronti da curare. Innanzitutto quello del dialogo sulle questioni antropologiche fra gli esponenti delle diverse confessioni cristiane. Un’operazione oggettivamente ardua, ma non più rinviabile. Meglio una sana chiarezza che un impalpabile rapporto di tolleranza reciproca. Inoltre è assolutamente necessario creare luoghi, occasioni e strumenti per una rappresentazione dell’opinione pubblica cattolica propriamente europea. Le forme possono essere tante, ma bisogna pur cominciare. Possono essere i media cattolici, alcuni di assoluto spessore com’è in Italia, a fungere da testa di ponte. Di sicuro, senza un’opinione pubblica cattolica avvertita, che marchi attentamente il lavoro nelle stanze di Bruxelles e di Strasburgo, non possiamo che aspettarci brutte sorprese da questa Europa. I vescovi sembrano già prevederlo, a tutti noi, almeno il tentativo di prevenirlo.
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