venerdì 27 marzo 2009
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Graziano ha un’impresa di verni­ciatura nella provincia italiana. 50 anni spesi nella terra del barbera, si è fatto da sé e oggi ha 30 dipendenti. Gli chiedo come va. « Sto correndo come un matto. La crisi ci costringe a rein­ventare. Non vernicio più impianti, sto provando con le bottiglie. Ma devo tro­vare un tappo che resista, altrimenti se la vernice va dentro… c’è un ragazzo che mi sta aiutando; forse ce la faccia­mo » . Questa è l’Italia. La crisi c’è. È e sarà difficile. Si contano e si prevedono i di­soccupati, si corre ai ripari. Ma questa è solo metà della questione. L’altra metà, altrettanto importante, è quella dell’Italia che lavora, crea, inventa, si muove. L’Italia con i nanismi che le a­vevamo imputato ( piccole banche, piccole imprese, piccola ricerca), e che ora ci mettono in condizioni migliori delle celebrate concorrenti Spagna, Francia, Inghilterra, Irlanda, Germa­nia, Stati Uniti. C’è un’Italia che colpi­ta, si lecca le ferite ma sa ripartire. Che non ragiona per privilegi, ma per ri­schio, merito e responsabilità. E non stiamo parlando di un dettaglio, ma del cuore del­l’economia: delle 4.338.000 imprese italiane, 4.300.000 hanno meno di 50 dipendenti. E 4.117.000 meno di 10! Per questi im­prenditori e lavo­ratori la cassa in­tegrazione non e­siste. Eppure han­no fatto la ric­chezza di questo paese. Sono milioni di persone come Graziano che non dicono: « C’è la crisi e va male » . Dicono: « La crisi ci co­stringe a reinventare » . Mentre le Cas­sandre annunciano 1 milione di di­soccupati in più nel triennio 2008­2010, vi sono persone che di fronte al calo degli ordinativi provano e cerca­no altre soluzioni. Spesso affaccian­dosi per la prima volta alla necessità dell’innovazione, dell’invenzione. Questo scatto positivo, questa reazio­ne creativa è propria dell’uomo; ed è qualcosa di profondamente italiano, più vicino a Michelangelo, a Marco Po­lo, alla bellezza e alla storia di cui sia­mo pieni. Quando i papi parlano del lavoro e del­la creatività come dimensione costi­tutiva dell’uomo che lavora non but­tano incenso inutile sugli affari degli altri. Raccontano il cuore dell’econo­mia. Raccontano l’origine dell’impre­sa. Chi conosce un imprenditore vero, sa che non cerca i soldi, altrimenti fa­rebbe finanza. Cerca il lavoro, il gusto del fare, la soddisfazione di vedere e vendere qualcosa che lui produce, per­fino cerca il piacere di dar da lavorare alla gente. Di fronte alla crisi occorre sostenere la solidarietà. Ma anche la responsabi­lità. Lo sforzo di innovazione dei mi­lioni di Graziano italiani va sostenuto per presentarci alla fine della crisi con un’altra Italia, ancora più forte. Da qui la proposta: perché le Regioni non u­tilizzano una piccolissima porzione dei 9,5 miliardi assegnati come ammor­tizzatori sociali per pagare giovani dot­torandi italiani che affianchino i piccoli imprenditori ( auspicabilmente, ma non obbligatoriamente! tramite le lo­ro associazioni) che vogliono innova­re? Qualcuno, insomma che, dentro l’università aiuti i singoli tentativi, fac­cia da tutoraggio per chi sa essere crea­tivo ma non ha tutti i contatti con il mondo della ricerca? Si sosterrebbero due poli dello sviluppo finora penaliz­zati: i giovani ricercatori e i piccoli im­prenditori. E, sarebbe forse anche l’oc­casione per l’università di assumere attraverso le sue forze migliori, un ruo­lo di protagonista per fare sistema.
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