Graziano ha un’impresa di verniciatura nella provincia italiana. 50 anni spesi nella terra del barbera, si è fatto da sé e oggi ha 30 dipendenti. Gli chiedo come va. « Sto correndo come un matto. La crisi ci costringe a reinventare. Non vernicio più impianti, sto provando con le bottiglie. Ma devo trovare un tappo che resista, altrimenti se la vernice va dentro… c’è un ragazzo che mi sta aiutando; forse ce la facciamo » . Questa è l’Italia. La crisi c’è. È e sarà difficile. Si contano e si prevedono i disoccupati, si corre ai ripari. Ma questa è solo metà della questione. L’altra metà, altrettanto importante, è quella dell’Italia che lavora, crea, inventa, si muove. L’Italia con i nanismi che le avevamo imputato ( piccole banche, piccole imprese, piccola ricerca), e che ora ci mettono in condizioni migliori delle celebrate concorrenti Spagna, Francia, Inghilterra, Irlanda, Germania, Stati Uniti. C’è un’Italia che colpita, si lecca le ferite ma sa ripartire. Che non ragiona per privilegi, ma per rischio, merito e responsabilità. E non stiamo parlando di un dettaglio, ma del cuore dell’economia: delle 4.338.000 imprese italiane, 4.300.000 hanno meno di 50 dipendenti. E 4.117.000 meno di 10! Per questi imprenditori e lavoratori la cassa integrazione non esiste. Eppure hanno fatto la ricchezza di questo paese. Sono milioni di persone come Graziano che non dicono: « C’è la crisi e va male » . Dicono: « La crisi ci costringe a reinventare » . Mentre le Cassandre annunciano 1 milione di disoccupati in più nel triennio 20082010, vi sono persone che di fronte al calo degli ordinativi provano e cercano altre soluzioni. Spesso affacciandosi per la prima volta alla necessità dell’innovazione, dell’invenzione. Questo scatto positivo, questa reazione creativa è propria dell’uomo; ed è qualcosa di profondamente italiano, più vicino a Michelangelo, a Marco Polo, alla bellezza e alla storia di cui siamo pieni. Quando i papi parlano del lavoro e della creatività come dimensione costitutiva dell’uomo che lavora non buttano incenso inutile sugli affari degli altri. Raccontano il cuore dell’economia. Raccontano l’origine dell’impresa. Chi conosce un imprenditore vero, sa che non cerca i soldi, altrimenti farebbe finanza. Cerca il lavoro, il gusto del fare, la soddisfazione di vedere e vendere qualcosa che lui produce, perfino cerca il piacere di dar da lavorare alla gente. Di fronte alla crisi occorre sostenere la solidarietà. Ma anche la responsabilità. Lo sforzo di innovazione dei milioni di Graziano italiani va sostenuto per presentarci alla fine della crisi con un’altra Italia, ancora più forte. Da qui la proposta: perché le Regioni non utilizzano una piccolissima porzione dei 9,5 miliardi assegnati come ammortizzatori sociali per pagare giovani dottorandi italiani che affianchino i piccoli imprenditori ( auspicabilmente, ma non obbligatoriamente! tramite le loro associazioni) che vogliono innovare? Qualcuno, insomma che, dentro l’università aiuti i singoli tentativi, faccia da tutoraggio per chi sa essere creativo ma non ha tutti i contatti con il mondo della ricerca? Si sosterrebbero due poli dello sviluppo finora penalizzati: i giovani ricercatori e i piccoli imprenditori. E, sarebbe forse anche l’occasione per l’università di assumere attraverso le sue forze migliori, un ruolo di protagonista per fare sistema.