Non c’è un esito precostituito alla crisi di governo che si è definitivamente aperta ieri sera con le dimissioni consegnate nella mani del Capo dello Stato dal premier Giuseppe Conte. Non c’è davvero, checché si sia detto e scritto nella nervosa vigilia del duro “chiarimento” in Senato tra il presidente del Consiglio e il promotore della crisi stessa, il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. E però almeno una cosa è evidente: la rottura tra la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle e i suoi leader è profonda, netta. Un tramonto giallo-verde, che sembra già notte.
Tra i due ex alleati, in poco più di un anno, si è creata addirittura una voragine. Un orrido che Conte ha illuminato con rivendicazioni orgogliose e puntigliose del lavoro svolto e con imputazioni circostanziate e sorprendentemente sferzanti nei confronti del “fazioso”, “opportunista” e “poco trasparente” ministro dell’Interno. Un abisso che Salvini, senza replicare nel merito delle accuse (liquidate come «insulti»), ha approfondito con un discorso più da campo di battaglia che da aula parlamentare, quasi una scommessa sull’unica tattica che si è dato: tornare alle urne, anche se dopo un eventuale voto d’autunno con l’attuale legge a base proporzionale il quadro parlamentare (pur con una Lega più forte) sarebbe probabilmente altrettanto complicato e la condizione dell’Italia più difficile.
Un baratro che a nome del Pd – sinora principale e poco efficace forza di opposizione e adesso interlocutore difficile e necessario per il M5s – l’ex premier Matteo Renzi ha descritto a partire dai deludenti dati economici e sociali che si sono accumulati in questi mesi, certificando la crisi di prospettiva oltre che politica del nostro Paese.
Il fallimento del Governo di M5s e Lega è certamente e prima di tutto in questo totale e stridente “vuoto” di solidarietà tra ex alleati, che richiama gli altri e gravi vuoti di solidarietà che abbiamo ripetutamente documentato e sottolineato su queste pagine. Vuoti clamorosi, dalle politiche per la famiglia a quelle per il Terzo settore e allo (s)governo delle questioni migratorie da e verso l’Italia.
Ma il fallimento del governo Conte paradossalmente non coincide con il fallimento personale del suo primo responsabile. E questo non solo e non tanto perché i veri capi politici e garanti della coalizione erano i due “vice”, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ma perché colui che si era presentato sulla scena come «avvocato del popolo» è stato capace – in special modo dal voto europeo di maggio in avanti, sino al severo discorso di ieri a Palazzo Madama – di darsi un ruolo non solo da reggitore politico, ma anche da uomo delle istituzioni.
Più evaporava il “Governo del cambiamento” e il rigido “contratto” programmatico su cui esso era stato fondato, più questo tratto nella figura del premier andava emergendo sia sulla scena interna sia su quella europea. Insomma: Conte, che si è dimesso senza essere stato sfiduciato, è e resterà un protagonista di questo difficile passaggio e del futuro della variegata forza politica di cui è espressione.
Un Movimento che è però anche “partito di maggioranza relativa” e, dunque, è chiamato ad assumersi tutta la responsabilità che gli compete se davvero vuol dare un senso utile a questa ancora giovanissima legislatura e costruire un nuovo e credibile quadro di governo. Possiamo infatti esser certi che il presidente della Repubblica Mattarella farà con saggezza – secondo Costituzione e indole e valori personali – ciò che è giusto, necessario e possibile per l’Italia e per gli italiani, ma non sottrarrà in alcun modo ruolo e potere ai gruppi parlamentari.
I Governi nascono in Parlamento, lì muoiono e lì possono nascere di nuovo. Solo quando non è in grado di questa democratica vitalità un Parlamento è morto e una legislatura può dirsi esaurita. Vedremo. Non c’è esito precostituito per questa crisi, anche se all’Italia non mancano né uomini e donne né competenze né idee per una possibile, ma niente affatto facile, stagione di buon governo e di piena ripresa di ruolo in Europa. Sapremo presto se ci sono o no anche la sufficiente dedizione e le indispensabili generosità.