Fra le due posizioni sinora manifestatesi in tema di fine vita (quella che muove dall’autodeterminazione individuale e non accetta che essa incontri il limite della indisponibilità della vita e quella che, all’opposto, si basa sul principio dell’indisponibilità e dà spazio al primo criterio solo nei limiti del secondo) in questi giorni sta tentando di insinuarsi una terza prospettiva di lettura. Per Angelo Panebianco ( Corriere della Sera del 9 febbraio e, di nuovo, di ieri) entrambe queste posizioni sarebbero pericolose, perché la democrazia non può risolvere conflitti filosofici e le questioni di fondo devono essere affidate ad una 'zona grigia', nella quale è bene che il diritto non entri. Questa tesi pare per certi aspetti suggestiva, ma a ben guardare è inconsistente e travisa i termini della controversia. L’inconsistenza è anzitutto teorica. Non esistono 'zone grigie' per il diritto: ogni ordinamento statuale, in quanto sovrano, aspira alla completezza e non ammette che un giudice possa non rispondere a una istanza avanzata da una parte (il famoso non liquet). La risposta, per definizione, c’è sempre: non esiste il 'nondiritto', ma tutto è oggetto di regolazione giuridica, fosse anche in base a una regola generale di libertà o a una norma di chiusura configurata come un limite alle possibilità di scelta. Ma venendo al problema concreto del fine vita, la questione era oggetto di una disciplina chiara fino all’ottobre 2007, data della ormai celebre 'sentenza-canaglia' n. 21748 della Corte di Cassazione, che ha introdotto la possibilità di rinunciare all’idratazione e all’alimentazione in base ad una volontà presunta dei pazienti in stato vegetativo persistente. La sentenza della Cassazione, che a nostro avviso si è indebitamente sostituita al legislatore, modificando un assetto consolidato sul punto (e basato sull’interdizione della scelta che la Cassazione ha consentito, scelta che rientra nella fattispecie coperta dal reato di omicidio), ha regolato ex novo la materia. Sarebbe puerile vedere qualcos’altro di diverso dal diritto nella sentenza della Cassazione: essa non ha creato una "zona grigia", ma una nuova regola, per di più posta da un’autorità non competente a porla. Del resto, l’istanza di introdurre nel nostro ordinamento il cosiddetto 'testamento biologico' era presente già prima di tale sentenza e il disegno di legge approvato la scorsa settimana dalla Commissione affari costituzionali del Senato persegue un duplice obiettivo: eliminare le incertezze sul fine vita prodotte dal precedente creato dalla Cassazione e al tempo stesso riconoscere una parte dell’istanza di autodeterminazione che veniva avanzata dai sostenitori del testamento biologico. Le cosiddette 'direttive anticipate di trattamento', che il disegno di legge Calabrò prevede, sono infatti una forma razionalizzata di testamento biologico, opportunamente ricondotta nell’ambito dell’alleanza terapeutica medico-paziente e di un duplice chiaro rifiuto sia dell’eutanasia, in ogni sua forma, sia dell’accanimento terapeutico. Ci pare sia criticabile anche l’altra idea di Panebianco, secondo cui la democrazia non sarebbe adatta a risolvere a maggioranza le questioni 'filosofiche', relative alla vita e alla morte. Certo, l’ideale sarebbe che esse non fossero decidibili, perché saldamente acquisite alla coscienza sociale, o che fossero regolate da compromessi costituzionali chiari, espressamente riferiti al tema controverso. Quando non è così, e quando i principi costituzionali forniscono solo una cornice che solo interpretazioni strumentali possono piegare a risolvere il problema, la decisione democratica è pur sempre una strada pessima, ma – parafrasando Churchill – è anche la migliore sinora inventata. Infine, ci pare di poter dire che – ferma la controversia sull’applicazione all’idratazione e all’alimentazione del principio di autodeterminazione, che rimane aperta – è in realtà emerso un compromesso più ampio di quanto le forze politiche vorrebbero far credere. Una prova si può avere dal dibattito interno al Pd, ove si è raggiunta una mediazione che 'copre' ben 13 su 14 punti, l’ultimo dei quali è appunto la questione dell’idratazione e dell’alimentazione. E su quei 13 punti le differenze con il disegno di legge della maggioranza non sono incolmabili e ulteriori compromessi sono forse possibili. Del resto, non c’è proprio nulla di nuovo. Tutte le grandi questioni 'filosofiche' degli ultimi 40 anni (divorzio, aborto, fecondazione assistita) sono state risolte da leggi approvate da maggioranze e osteggiate da consistenti opposizioni, con un certo grado di trasversalità. E tutte quelle leggi, nei loro testi (anche se non sempre nella prassi: si veda la legge 194) sono state in qualche modo di mediazione, pur se la mediazione non era per tutti soddisfacente. Non pare che oggi esista un’alternativa a questo
modus procedendi.