Il mondo ha messo al centro del mirino il Grande Fratello Ficcanaso. Sì, Google, l’azienda che marcia a passo trionfale nei territori delle nuove tecnologie. Perfino le stime di vendita mondiali dei tablet per il 2013 (190,9 milioni di unità contro i 128 milioni dell’anno scorso) celebrano il sorpasso su Apple: Google avrà il 49% del mercato contro il 46% della Mela. È di ieri la notizia che sei Paesi dell’Unione europea hanno deciso di intraprendere «azioni repressive» contro l’azienda di Mountain View, rea di non aver adeguato le proprie disposizioni sulla privacy alle leggi europee e di non aver offerto garanzie sufficienti, dopo vari e vani incontri – l’ultimo il 19 marzo – tra i propri rappresentanti e un gruppo di lavoro comprendente le Autorità per la protezione dei dati di Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito. Il Garante per la privacy italiano ha confermato ieri di aver aperto un’istruttoria «per verificare il rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali».Google, tuttofare nella Rete, consente a tutti di orientarsi e trovare i contenuti desiderati. Fin troppo anche secondo i giudici americani, che settimane fa hanno comminato all’azienda di Mountain View una multa di 7 milioni di dollari per aver raccolto dati senza autorizzazione tramite il programma Street View. Le auto che giravano strada per strada le nostre città, fotografando ogni dettaglio per riprodurlo sulle mappe elettroniche, nel frattempo "succhiavano" informazioni dalle reti wireless in cui s’imbattevano. La sanzione, fra le più alte mai comminate per violazioni alla privacy, è motivata dal rispetto dei cittadini che hanno diritto a non vedersi sottrarre informazioni senza permesso. Google, pur sostenendo di non aver usato quelle informazioni, ha accettato la multa, si è impegnata a non ripetere la stessa pratica e ad avviare un programma d’istruzione sulla privacy per i propri dipendenti.Non meno clamorosa la disavventura che ha già portato Google a venire a patti, dapprima, con gli editori francesi – ai quali nel febbraio scorso ha accordato ben 60 milioni di euro in un patto controfirmato di suo pugno dal presidente Hollande – e, un mese fa, a scontrarsi con il parlamento tedesco, che ha varato una "Lex Google" per garantire che i motori di ricerca riconoscano (e paghino) i diritti di autori ed editori i cui materiali vengono raccolti nelle pagine di ricerca.È evidente che aziende come Google possono ormai permettersi di trattare da pari a pari con Paesi e organismi sovranazionali, vista la dimensione della posta in gioco: non si tratta più soltanto di raccogliere dati, bensì di entrare in spazi fin qui gelosamente riservati alle vite private e a quelle nazionali, entrambe sovrane fino a prova contraria.L’oggetto del contendere sono quei confini invisibili, impalpabili ma ben concreti oltre i quali abitano i contenuti della privacy. Ovvero le informazioni sensibili, le relazioni private, insomma i fatti nostri, tali anche quando non particolarmente riservati o degni di nota. E, in aggiunta, quei particolari fatti nostri che sono i contenuti del nostro lavoro e la ricchezza delle relazioni professionali che ne derivano. Tutto ciò viaggia nella Rete, ma non significa che sia a disposizione.Qui hanno ragione gli editori a tutelarsi, ma si va oltre: infatti in un mondo dove tutte le informazioni sono moneta, qualsiasi soglia relazionale può trasformarsi in una dogana con pedaggio. Dobbiamo trovare l’equilibrio fra ciò che custodiamo come "nostro" e ciò che, per ovvie e ineliminabili necessità di conoscenza, vogliamo e dobbiamo conoscere per arricchire ciò che siamo, sappiamo e facciamo. Non sarà facile, e la partita è appena cominciata.