«Tragedia annunciata», urlano i superstiti dell’alluvione. È vero, drammaticamente e colpevolmente vero. Non solo annunciata ma anche ripetuta. Più volte. Troppe volte. E proprio qui, lungo questi valloni svuotati di alberi e riempiti di cemento. Sotto queste colline geologicamente fragili ma appesantite di case e strade, e senza difese. Proprio qui a Giampilieri, Scaletta Zanclea, Briga Marina, Altolia, Molino. Disastro naturale? No, tremendamente umano.È vero, la pioggia è stata tantissima e concentrata in pochi chilometri. Fenomeni violenti, nuovi, che ormai si ripetono da alcuni anni e ai quali dovremo abituarci. Anche in zone un tempo indenni dalle alluvioni, come la Sardegna (un morto la scorsa settimana) o la Puglia. I meteorologi lo dicono da tempo, ci avvertono. Forse sono le prime avvisaglie dei tanto temuti cambiamenti climatici. Ma la tecnologia delle previsioni del tempo ci aiuta ed è sempre più precisa. E anche questa volta dalla Protezione civile l’allerta era arrivato con anticipo. Ma ad avvertirci sono da ancor più tempo gli esperti di idrogeologia.Si sa tutto sui versanti in frana, su quelli a rischio, su quelli da liberare dal cemento. Ma anche senza essere scienziati basterebbe ricordare quanto già accaduto. È proprio il caso di Messina. Dove appena due anni fa un’alluvione colpì gli stessi paesi disastrati questa volta. Avvisaglie, ma pesanti al punto che il 21 dicembre 2007 il governo decise di dichiarare lo stato di emergenza, che è ancora in vigore, prorogato lo scorso gennaio sino a fine 2009. Il motivo, come si legge nel decreto del Presidente del Consiglio, è che «solo nel mese di ottobre 2008 si sono rese disponibili le risorse finanziarie necessarie per l’attuazione degli interventi finalizzati al superamento dell’emergenza». Ora è stata decisa una nuova emergenza. Emergenza su emergenza, come un killer che infierisce sulla vittima. L’immagine dell’incapacità di affrontare un fenomeno comunque prevedibile e, almeno, mitigabile.Per le alluvioni le responsabilità della mancata prevenzione sono maggiori che per un terremoto. Si sa bene quando pioverà e con che intensità, e dove. E si sa bene quali sono le zone a rischio. Ma, dopo una frana o un’alluvione, ci si dimentica presto. Altre sono le priorità di spesa, più o meno necessaria. In un Paese così distratto in questi giorni da furiosi, e inconcludenti, scontri politici, la tragedia siciliana ci ricorda la necessità di scelte concrete e lungimiranti. Il presidente Napolitanto ha usato ieri parole molto chiare. «O in questo Paese c’è un piano serio che, piuttosto che in opere faraoniche, investa sulla sicurezza o si potranno avere altre sciagure».Servono tanti soldi, è chiaro, ma per cominciare basterebbe maggiore conoscenza e coscienza dei rischi. Ce lo insegna il piccolo Alberto, dieci anni, che ha salvato la sua famiglia a Giampilieri perché lui, dopo le frane del 2007, in occasione di forti piogge si metteva fuori dal negozio del papà a osservare l’alto costone. Piccola vedetta idrogeologica, ha capito che questa volta la montagna non avrebbe perdonato, ha dato l’allarme ed è stato creduto.Se ci ha pensato un bambino perché non lo hanno fatto i cittadini adulti? Sarebbe costato troppo mettere qualcuno a sorvegliare? Non sarebbero stati soldi sprecati, visto che la montagna era già franata due anni fa, e ancora prima nel 1998, nel 1996 e nel 1991. Soldi per difendere la vita, soldi spesi bene. Invece niente. Non si sono trovati, o voluti trovare, i soldi per la vecchia emergenza e per evitarne una nuova e più terribile. Per altro cemento, invece, purtroppo sì. E sempre nei posti sbagliati. Poi tanto arriva «il pronto soccorso del Paese», come ieri Guido Bertolaso ha definito la Protezione civile.Ma è sempre tardi, troppo tardi. Perché la pioggia, la montagna, la natura, fanno sempre e solo il loro "mestiere". È l’uomo che troppo spesso dimentica di fare il suo.