Se per molti associare le immagini del Papa e della Luna significa ricordare la sera dell’apertura del Concilio con la carezza ai bambini di Giovanni XXIII, farlo oggi non può che rimandare a Paolo VI, autore non solo di profonde riflessioni sullo spazio 'ad intra' di ogni uomo, ma anche sul suo più sorprendente viaggio 'ad extra'. Da ricordare subito e prima di tutto l’udienza generale del 21 maggio ’69, con Paolo VI e il suo pensiero rivolto all’ imminente incontro con la quieta amica delle nostre notti, ad affermare che «l’orizzonte diventa astronomico, e non solo per la nostra osservazione sensibile, ma per la dilatazione della nostra mentalità», e ancora «siamo non già incantati, né divertiti; siamo turbati». Poi l’intervento sul muto linguaggio del cosmo, e, nella conclusione, il consiglio ad ammirare l’evento allora al suo centro, ma dirigendo lo sforzo dello spirito innanzitutto verso l’uomo: «Chi è l’uomo, capace di opere simili? […] Come possiede tanta capacità di studio, di conoscenze, di dominio scientifico e tecnico sulle cose, sul mondo? […] Ancor più che la faccia della luna, la faccia dell’uomo s’illumina davanti a noi». Insomma: «Quando io contemplo i cieli, opera delle tue mani, (o Signore) la luna e le stelle che Tu vi hai seminate, che cosa è mai l’uomo perché tu ti ricordi di lui? Eppure di poco Tu l’hai fatto inferiore agli Angeli, di gloria e di onore Tu l’hai coronato; e Tu l’hai posto a capo delle opere delle Tue mani; tutto hai messo sotto i suoi piedi». Erano – questi ultimi versetti del Salmo VIII – gli stessi deposti in suo nome da Armstrong e Aldrin, in una speciale scatola alla base della bandiera americana piantata sul suolo lunare verso l’alba di quella notte fra il 20 e il 21 luglio, quarant’anni fa. Paolo VI assistette all’evento seguendolo in televisione da Castelgandolfo. All’Angelus domenicale, poche ore prima, gli occhi pieni di Luna, ma i piedi ben piantati sulla terra, ancora una volta aveva pensato all’uomo, diffidandolo dall’idolatrare i progressi della scienza («È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l’efficienza dell’uomo; ma questa efficienza è sempre a suo vantaggio? Lo fa più buono? Più uomo?») e ricordandogli l’autodominio («Nell’ebbrezza di questo giorno fatidico, vero trionfo dei mezzi prodotti dall’uomo, per il dominio del cosmo, noi dobbiamo non dimenticare il bisogno e il dovere che l’uomo ha di dominare se stesso»). Inoltre, citate le guerre in corso, in Vietnam, in Africa, in Medio Oriente, tra Salvador e Honduras, senza dimenticare il dramma della fame per intere popolazioni, si era chiesto: «Dov’è l’umanità vera? Dov’è la fratellanza, la pace? Quale sarebbe il vero progresso dell’uomo se queste sciagure perdurassero e si aggravassero?». In ogni caso, pochi minuti dopo l’allunaggio l’uomo – immagine di Dio – era per lui anche nei volti seminascosti dei protagonisti dell’Apollo 11 ai quali si rivolgeva inneggiando «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini del buon volere! […]. Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni! Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e con le nostre preghiere». Li avrebbe visti bene i volti dei tre cosmonauti, ricevendoli in Vaticano nell’ottobre dello stesso anno. Paolo VI contraccambiò il dono di un ciottolo lunare con una ceramica raffigurante i Re Magi. Tre uomini di scienza un po’come loro, capaci di muoversi scrutando il cielo stellato poi di kantiana memoria. Consapevoli di una intrinseca razionalità del cosmo, orientati senza saperlo verso la scoperta di un altro Regno.