Perché tanta attenzione sulla questione del pagamento arretrato dell’Ici richiesto alle due scuole paritarie di Livorno, con una sentenza della Cassazione che smentisce il parere dei giudici dei primi due gradi di giudizio? In Italia la scuola è sempre stata terreno di scontro politico, anche se oggi si è creato un fronte trasversale capace di superare schieramenti e pregiudizi, perché ha posto questioni molto concrete. È possibile non riconoscere finanziamenti per il loro funzionamento (non per la loro istituzione) alle scuole paritarie e, contemporaneamente, imporre che non chiedano una retta agli studenti che le frequentano, per evitare di scivolare fra gli enti che svolgono attività 'commerciali'? Con che fondi si potrebbero pagare gli stipendi degli insegnanti? Il ministro Padoan in questi giorni ha chiarito bene il punto, ricordando che il regolamento attuativo della norma sul pagamento dell’Imu specifica che è da considerare attività «non commerciale» quella che non chiede una retta superiore al «costo medio» di uno studente allo Stato, calcolato dall’Ocse dai 5.739,17 euro degli asili ai 6.914,31 euro delle superiori. Questo regolamento contiene un principio molto interessante tutte le scuole, paritarie e statali: il costo standard per studente.Se alle scuole statali e paritarie fossero riconosciuti finanziamenti adeguati a coprire i costi standard e le famiglie potessero scegliere, sarebbe giusto che le scuole paritarie non chiedessero alcuna retta. Ma, visto che lo Stato versa alle scuole paritarie meno di un decimo dei costi che devono sostenere e che le famiglie, possono ricevere al massimo, come detrazioni fiscali, 70 euro netti all’anno a fronte di rette che vanno da 3.000 a 5.000 euro, come si può considerare «commerciale» un’attività che chiede solo il corrispettivo per la copertura dei costi? In questi giorni si è più volte fatto riferimento ai circa 6 miliardi annui che lo Stato di fatto risparmia grazie alle scuole paritarie. Ma non può essere appena questa la ragione per considerarle un valore. Oggi, potremmo mai pensare come civile un Paese con un solo giornale, una sola rete televisiva, una sola radio, un solo motore di ricerca sul web? Che cosa può garantire l’esistenza in Italia di un 'servizio pubblico' di qualità in un settore così delicato e strategico come l’educazione sulla base di libertà, efficienza ed equità? Perché non aiutare veramente le famiglie a crescere ed educare i figli, dando loro gli strumenti per farlo? In che modo varrebbe la pena usare i fondi della fiscalità generale che derivano dalle tasse versate da tutti i cittadini, senza avere studenti, genitori, insegnanti, scuole, di 'serie A' e di 'serie B' all’interno del sistema nazionale d’istruzione regolato dalla legge? Forse uno sguardo a quell’Europa che siamo abituati a citare solo quando fa comodo, potrebbe essere utile. In Finlandia, Paese in vetta alle classifiche internazionali, la parità tra scuole statali e scuole non statali è totale. Le scuole sono gratuite, le famiglie hanno libertà di scelta e sono aiutate con contributi per le spese ulteriori che devono sostenere, a seconda del reddito e del numero dei figli. Nella 'laica' Francia gli insegnanti delle scuole paritarie sono pagati dallo Stato e i costi di gestione sono in parte finanziati dagli Enti locali; le famiglie che hanno figli in età scolare hanno dei contributi che vanno dai 4.123 euro annui a 8.349 (per chi ha 4 figli). In Spagna le scuole paritarie convenzionate sono circa il 30%, ricevono dallo Stato i fondi per pagare gli insegnanti e una parte dei costi di funzionamento, i genitori devono pagare rette molto basse. In Gran Bretagna c’è una lunga tradizione di scuole private convenzionate, totalmente finanziate dallo Stato, si chiamano 'public school'. Anche in questo Paese sono previsti aiuti economici per le famiglie con i figli che vanno a scuola (fino a 9.200 sterline per chi ha 4 figli). In Germania il 20% degli Istituti è paritario ed è finanziato con modalità diverse dai Laender. Allargando la visuale sui Paesi Ocse, con l’ultima indagine 'Education at a Glance' (2012), emerge, poi, che ormai tre Paesi su quattro coprono più del 50% di spese della scuola paritaria gestita della società civile (
governative dependent private schools) e che in Italia, mentre le spese del bilancio 2012 per le scuole statali sono state di circa 57.571.000.000 per 7 milioni e mezzo di studenti, per le scuole paritarie sono stati spesi 511 milioni euro, per più di 1 milione di studenti. Dopo di noi c’è solo la Grecia. L’Italia ha una buona legge fatta da Luigi Berlinguer nel 2000 che disegna, rispettando la nostra Costituzione, un sistema nazionale di istruzione formato da scuole statali e paritarie, la 'Buona Scuola' con l’articolo 1 comma 151, ha introdotto la possibilità di detrarre i costi sostenuti per la frequenza delle scuole paritarie (si tratta di una restituzione simbolica alle famiglie che non supererà, come detto, i 70 euro annui, ma stabilisce un principio di giustizia essenziale) e parla di nuovi criteri per l’assegnazione dei fondi alle scuole statali, per la gestione dei bilanci. Avendo finalmente un po’ più di coraggio nell’affrontare la sfida e, come è già stato annotato su
Avvenire, grazie anche alla riflessione provocata dalla sentenza della Cassazione sulle paritarie livornesi, forse si può costruire un sistema davvero equo, in grado di dare più risorse a una 'scuola di tutti', statale e paritaria, e di aiutare le famiglie a svolgere il proprio compito educativo senza discriminazioni di sorta.