La fame e la crisi alimentare mondiale sono forse solo alcune tra le molte iniziative politiche che reclamano spazio e tempo nell’agenda del presidente eletto Usa Barak Obama. Ma entrambe meritano la massima attenzione. Il rischio è che la crisi economica mondiale finisca con il confermare le più fosche previsioni: 923 milioni di affamati nel mondo soffriranno ancora di più la fame. Una prospettiva che comporterebbe una seria minaccia per lo sviluppo fisico e intellettuale di milioni di bambini e potrebbe innescare una nuova ondata di proteste sociali. Stranamente, il sistema politico, si sta dimostrando pronto ad accettare questa terribile prospettiva senza mettere in atto concrete contromisure. Ma è proprio questo che Obama non dovrebbe fare. Al contrario, il nuovo presidente eletto ha l’opportunità di riproporre la sicurezza alimentare come tema centrale nell’agenda di politica estera e di affrontare la crisi alimentare mondiale con la stessa urgenza con cui i policy-makers affrontano quella finanziaria. Per farlo la sua amministrazione dovrebbe tenere presente alcuni punti fermi.Primo. Nel prossimo decennio la competizione per il cibo e l’acqua sarà più urgente e importante di quella per il petrolio. Le ragioni che sostengono la domanda di cibo rimarranno immutate e alcune saranno ancor più rilevanti: l’aumento della popolazione mondiale; la crescita della domanda da parte dei paesi meno sviluppati; la competizione tra utilizzo dei raccolti per i biocarburanti o per il consumo alimentare. Né la caduta dei prezzi modificherà la situazione. E’ vero che sono allo studio nuove soluzioni per incrementare la produttività, ma la loro applicazione non è immediata.Secondo. La fame è direttamente legata ai conflitti civili. L’anno scorso, il forte aumento dei prezzi dei generi alimentari ha provocato una trentina di rivolte. La fame si è trasformata prima in rabbia e poi in violenza. Ad Haiti, ci sono stati almeno 20 morti e il primo ministro costretto alle dimissioni. Tutti siamo stati testimoni delle difficoltà del governo egiziano nel fronteggiare la protesta della gente scesa in piazza contro l’improvviso aumento del prezzo del pane.Terzo. Quando la gente comincia ad aver fame si sposta alla ricerca di luoghi migliori; e le popolazioni in movimento sono più soggette a conflitti.Quarto. Esiste un raggio di speranza: nutrire le persone, soprattutto i bambini, significa investire nelle generazioni future. La scienza ha dimostrato che una corretta alimentazione infantile, soprattutto nei primi due anni di vita, aumenta le possibilità di sviluppo fisico ed intellettuale, rafforza il sistema immunitario, accelera la crescita di quelli che diventeranno, da adulti, membri o anche leader di nazioni alle prese con una serie complessa di problemi mondiali, dai cambiamenti climatici alla creazione di infrastrutture. Il numero, ancora enormemente alto, di poveri ed affamati maschera i progressi compiuti. Negli anni Sessanta la percentuale di chi soffriva la fame, nel mondo, era del 36 per cento - oltre un terzo della popolazione mondiale. Oggi, questa percentuale è molto più bassa, e riguarda circa il 15 per cento della popolazione del pianeta. E’ vero, il mondo è molto più grande, oggi, e tutto lascia prevedere che lo sarà ancora di più. Ma ciò rappresenta un ulteriore motivo per evitare che si inverta la tendenza al ribasso della percentuale degli affamati calcolata sulla popolazione mondiale. Usare la crisi finanziaria come pretesto per l’inazione, assistendo passivi alla moltiplicazione del numero di chi soffre, è per lo meno miope, sicuramente drammatico. Il mondo sviluppato - che in poche settimane ha saputo trovare 1.000 miliardi di dollari per soccorrere le istituzioni finanziarie - potrebbe facilmente reperire 3 miliardi di dollari per sfamare 59 milioni di bambini o i 6 miliardi di dollari necessari a finanziare gli interventi delle Nazioni Unite. In una prospettiva più ampia, si dovrebbe poter disporre anche dei 30 miliardi di dollari necessari, nel breve periodo, a soddisfare i bisogni alimentari investendo, contemporaneamente, nei processi produttivi di più lungo periodo destinati ad aumentare la produzione agricola. La crisi finanziaria ci ha mostrato che, all’occorrenza e se c’è la volontà, il denaro si trova. Il presidente eletto Obama ha la possibilità di dare alla lotta alla fame il posto che le spetta nell’agenda internazionale. E’ un’opportunità che non dovrebbe perdere.
*direttore di Public Policy Strategy del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP). In precedenza è stata vice-presidente del Council on Foreign Relations (Usa).