mercoledì 29 aprile 2015
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La Carta di Milano è la presa d’atto che siamo fuori dalla "civiltà dei consumi". Il senso della civiltà dei consumi stava nel consumare, consumare era sentito come etico, come positivo, costituiva la molla del progresso. Le società che consumavano di più erano le più potenti. L’uomo che consumava di più era il più felice. L’uomo era un anello della catena che aveva da una parte la produzione e dall’altra il consumo: si consumava per far posto alla nuova produzione, ma si consumava tutto, anche la Natura, con l’inquinamento e la distruzione delle materie non sostituibili. Questa civiltà è entrata in crisi quando ci siamo resi conto che il consumismo non rappresentava un trionfo dell’uomo, come se consumando tutto rafforzasse se stesso, ma si traduceva in un consumo dell’uomo: distruggendo tutto, l’uomo distruggeva se stesso.a Carta di Milano è la presa d’atto che siamo fuori dalla "civiltà dei consumi". Il senso della civiltà dei consumi stava nel consumare, consumare era sentito come etico, come positivo, costituiva la molla del progresso. Le società che consumavano di più erano le più potenti. L’uomo che consumava di più era il più felice. L’uomo era un anello della catena che aveva da una parte la produzione e dall’altra il consumo: si consumava per far posto alla nuova produzione, ma si consumava tutto, anche la Natura, con l’inquinamento e la distruzione delle materie non sostituibili. Questa civiltà è entrata in crisi quando ci siamo resi conto che il consumismo non rappresentava un trionfo dell’uomo, come se consumando tutto rafforzasse se stesso, ma si traduceva in un consumo dell’uomo: distruggendo tutto, l’uomo distruggeva se stesso.Era un uomo "straniero" al proprio mondo, il che voleva dire "straniero a se stesso", e "indifferente" agli altri, il che voleva dire "indifferente alla propria fine", per usare le parole (straniero, indifferente) che sono nei titoli di due grandi romanzi di allora. Adesso dobbiamo fare i conti con gli altri, perché ci entrano in casa. Con la Natura, perché distruggendola creiamo il deserto nella vita dei nostri figli. Con l’inquinamento, perché produce malattie. Con lo sfruttamento, perché l’iniqua distribuzione dei beni della Terra crea le guerre, e la guerra non è un modo per vivere ma per morire.La Carta di Milano viene a ricordarci che non siamo padroni assoluti del mondo, ma semplici gestori. Non l’abbiamo ricevuto per farne quel che vogliamo, ma per migliorarlo e lasciarlo a chi viene dopo di noi. Abbiamo dei doveri che ci scavalcano: durano più a lungo della nostra vita e si estendono oltre lo spazio della nostra patria, sia intendendola come nazione che come continente. Siamo pressati anche dalla povertà, dalla fame, dalle guerre e dalle dittature di Stati con cui credevamo di non avere alcun rapporto. La Carta di Milano ci tratta come "cittadini globali". I dati dicono che due miliardi di uomini patiscono la fame, ma dicono anche che sprechiamo cibo sufficiente per nutrirne altrettanti, e dunque sprecare è un modo per affamare.Anni fa, correndo per un’autostrada tedesca, ho visto un tir che portava alimentari, tutto chiuso in un telone scuro, e sul telone aveva una scritta che voleva essere spiritosa, e invece era tragicamente veritiera. Diceva: «Dei popoli affamati non c’è da fidarsi». Noi non ci fidiamo di loro, ma neanche loro si fidano di noi. Perché noi ci poniamo mille problemi ogni mattina, chi votare, come pagare le tasse, come punire chi evade, ma ci sono popoli, e milioni di uomini dentro quei popoli, che hanno un solo onnicomprensivo problema: cosa mangiare. Se l’Expo servirà a ridurre di una porzione magari minima questo smisurato problema, avrà un risultato. Se no, no. La Carta di Milano dice che chi ha organizzato l’Expo questo lo sa.Non abbiamo più il senso dell’importanza del cibo. L’Expo può darcela. Ben venga. Il cibo è cultura, ma è anche etica. Viviamo in società che non hanno l’etica del cibo. Non favoriscono la raccolta del cibo non consumato. Mando questo articolo alle 20 di sera, le famiglie stan finendo la cena e quelle che hanno cibo di troppo, fra poco lo butteranno via con l’umido. È un peccato, anche nel senso di colpa. Ma qui, ora, in queste città, cos’altro possono fare? Se con l’Expo, con la riflessione e con le scelte che aiuterà a innescare, verrà un’alternativa, sarà già un buon risultato. Mangiamo meno, mangiamo tutti
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