L'attacco al debito italiano, annunciato e temuto da tempo, si sta facendo più concreto, con effetti pesanti sull’andamento della Borsa (soprattutto dei titoli finanziari) e un aumento sensibile del costo del servizio del debito pubblico. Si parla di speculazione, il che è senz’altro vero, ma il morso degli speculatori scatta quando si presentano possibilità di successo, per debolezze strutturali e incertezze nella gestione del debito. La debolezza strutturale, causata dalla dimensione del debito italiano, non è certo una novità. La capacità di gestione del debito, invece, finora appariva sostanzialmente assicurata, ed è tuttora riconosciuta dal presidente in carica della Banca centrale europea e dal governatore della Banca d’Italia, che gli succederà a novembre.Sul ministro dell’Economia in carica si è però abbattuta una serie di problemi: da quelli causati dalle vicende giudiziarie che hanno toccato persone a lui politicamente vicine (e hanno fatto emergere la sua personale leggerezza nell’accettare una sistemazione abitativa agevolata) a quelli sorti all’interno dell’area di governo, che pur approvando il decreto presentato per la stabilità finanziaria secondo i requisiti europei, fatica a digerire la durezza e l’impopolarità di alcune misure. Tuttavia, oggi, non è in gioco la fortuna politica personale di Giulio Tremonti, ma la tenuta dell’economia italiana. Scherzare col fuoco, in queste condizioni, sarebbe da irresponsabili.È il governo in carica che deve affrontare la situazione. Dopo scambi di osservazioni non lusinghiere, Silvio Berlusconi e il suo ministro dell’Economia hanno concordato – meglio tardi che mai – sull’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014 e sullo spazio e le risorse da destinare alla promozione della crescita. Se lo avessero fatto prima e senza tante esibizioni di personalismo e di insofferenza, forse avrebbero evitato di doverlo fare, con affanno, sotto il fuoco della speculazione. Anche alle forze di opposizione hanno qualcosa da dire e da fare che va oltre gli interessi di parte. Spetta loro, soprattutto, di chiarire se condividono l’impegno assunto per il pareggio, pur mantenendo naturalmente riserve e posizioni diverse sul percorso suggerito per raggiungere l’obiettivo. Sarebbe perciò un bene se si creassero le condizioni per due incontri tra il presidente del Consiglio e i leader delle diverse opposizioni: Pierluigi Bersani, per il centrosinistra, e Pier Ferdinando Casini, per il "nuovo polo". Bersani, tra l’altro, un faccia a faccia lo ha già chiesto per far sentire la propria opinione sulla scelta del successore di Draghi come governatore della Banca d’Italia. L’unico modo per respingere la speculazione è dimostrare che l’Italia è decisa a rispettare i suoi impegni e che su questo non c’è rottura né all’interno della maggioranza né tra maggioranza e opposizione. Si tratta di un’esigenza nazionale evidente: ogni punto di aumento del costo del servizio del debito pubblico costa agli italiani 18 miliardi, il che finisce col pesare sulle tasche dei contribuenti più dei tagli proposti dal governo o di quelli prospettati da altri. Per chiedere una prova di responsabilità agli altri, però, il governo deve prima di tutto dare esso stesso, nel modo più limpido, la dimostrazione che la fase un po’ torbida delle contrapposizioni personalistiche e di fazione è finita davvero.Nessuno può augurarsi che l’Italia entri in una spirale distruttiva che ci metta in una situazione simile a quella della Grecia o del Portogallo, il disastro riguarderebbe tutto e tutti. A tutti conviene, perciò, evitare che la barca affondi, perché solo a questa condizione avrà, poi, senso confrontarsi su chi e come dovrà guidarla nel futuro. In una fase politica qualitativamente nuova che si annuncia in modo ancora confuso e persino rischioso, ma che è sempre più necessaria.