Ariosa ed equilibrata, la prolusione del cardinal Bagnasco ai lavori della 63ª Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana tocca tutti i temi della più stretta attualità, sottoponendoli a una lettura in cui la pur corretta dimensione cronachistica appare subordinata all’esigenza di una ben più profonda analisi 'sapienziale'. Gli ampi riferimenti alla beatificazione di Giovanni Paolo II hanno appunto questa finalità: indicare come la santità si radichi, prima ancora che nel fare «cose strabilianti», nella credibilità della testimonianza cristiana, il baricentro della quale sta nella convergenza di teocentrismo e antropocentrismo. Insegnando e operando in questa direzione, ha sostenuto il presidente della Cei, Giovanni Paolo II si è posto in quella che è la «dorsale principale» del Concilio Vaticano II, un mandato al quale dobbiamo tutti sentirci vincolati.A questo tema iniziale fanno seguito tanti altri, tra cui spiccano in particolare la conferma della risoluta intransigenza assunta dalla Chiesa nei confronti degli abusi sessuali compiuti da chierici (uno «strazio indicibile») e le amare considerazioni conclusive su quello che doveva essere, in Libia, un intervento umanitario e che sta invece provocando gravissime perdite di vite umane: «Difficile non convenire – dice il cardinale – che nel concreto non esistono interventi armati puliti». Al centro della prolusione si pone, e non poteva essere altrimenti, una sofferta riflessione sul momento politico che sta attraversando l’Italia di oggi. Le parole del cardinal Bagnasco sono ferme e severe. «Non ci sono scusanti», egli dice, per la crisi di impegno, di progettualità, di vigilanza critica che caratterizza il momento attuale. Ciò non di meno, abbiamo il dovere di non trascurare le tante forze positive che sono all’opera nel Paese, dalle quali dobbiamo augurarci che provenga una nuova generazione di politici cattolici, capace di votarsi a quella «complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi» che è la politica, secondo la definizione dello stesso Benedetto XVI. La Chiesa farà la sua parte, nel più puro spirito della sua missione, per sostenere questo sforzo generativo. E qui il discorso del cardinale entra nel vivo, rilevando come siano presenti anche in Italia forze sostenitrici di un individualismo esasperato, incapace di percepire il carattere necessariamente relazionale della persona umana: forze che mirano a frantumare ogni «alleanza virtuosa» tra umanesimo laico e cattolicesimo, ingiustamente presentato come una forza ostile alle dinamiche della modernità. Nel denunciare queste deformazioni ideologiche, le parole del presidente della Cei sono non solo chiarissime, ma teoreticamente precise: annunciando il Vangelo, la Chiesa «più che avversaria della modernità ne è l’anima», proprio perché proclama la dignità della persona, l’eguaglianza di tutti gli uomini e il valore incommensurabile della libertà. Della modernità essa custodisce «gli ingredienti di base». È su questo punto, più che su qualsiasi altro, che deve incentrarsi la riflessione di tutti ed è su questo punto che si radicano gli altri temi della prolusione: la famiglia, il lavoro, la scuola, l’ordine delle generazioni, l’immigrazione, la probità dei costumi pubblici e privati. Lo stesso auspicio che si arrivi a una sollecita approvazione della legge sul «fine vita» va letto in questo contesto di ferma opposizione all’individualismo, che, nelle questioni di bioetica, si trasforma inevitabilmente nell’abbandono terapeutico, ancorché sottilmente mascherato, dei morenti e più in generale dei soggetti più deboli e più fragili. Non è difficile, quindi, individuare il segno riassuntivo di questa prolusione, che potrebbe anche essere espresso con toni ben più accesi e provocatori di quelli, fermi, ma pacati che usa il cardinale. La prolusione si conclude, giustamente, con una preghiera che anticipa quella per l’Italia nel 150° dell’unità politica che si terrà solennemente giovedì prossimo. Anche questa è una preghiera alla Madonna, altissima icona di una relazionalità che consiste nell’andare verso l’altro «nel segno della gratuità e del dono»: parole chiave di un’etica universale, della quale, oggi, la Chiesa appare come l’unico, credibile promotore e motore.