Eccoli schierati, tutti arruolati, pronti al comando, da Franca Rame a Roberto Saviano, da Adriano Sofri a Corrado Augias, su
Repubblica e
l’Unità, e via via tanti giornalisti, mezzi scrittori, attori, opinionisti. Truppe (o truppette) di intellettuali prontissimi a intrupparsi. La chiamata alle armi, finalmente, avran pensato, nel leggero torpore determinato dal successo. L’ha squillata la comandante Bresso, che ha usato la parolina magica: fermate gli ayatollah. Finalmente qualcuno che soffia nel piffero, avran gongolato. E allora fiato alle trombe e anche alle trombette e tutti dietro al flauto del politico di turno. Perché finalmente si potesse subissare di violenza ideologica e verbale un uomo, il cardinal Poletto, che chiunque farebbe fatica a immaginare nei panni persino del più scalcagnato degli ayatollah. Il fatto è, diciamolo subito, che mentre migliaia di medici stanno esprimendo il loro dissenso a svolgere un’azione che riconoscono contraria all’etica e alle conoscenze scientifiche, ecco decine di intellettuali politicizzati, di giornalisti, di opinionisti aizzare la peggiore canaglia per chiedere la morte di una donna. Il che, ha ricordato laicamente e cristianamente il cardinale Poletto, è contro le legge di Dio e contro la Costituzione. Di fronte a tale schieramento di livore, è quasi inutile ricordare gli argomenti che Sofri, Saviano e Co. fingono di non intendere. Qui non c’è in gioco il diritto del signor Englaro, il quale ha deciso di combattere con ogni mezzo per staccare il sondino che nutre la figlia. C’è in gioco la dignità di una vita che non è a disposizione di nessuno, che non è sotto accanimento terapeutico, che non è in fase terminale, che non sappiamo cosa viva fino in fondo e che la scienza non dichiara morta. Fingono di non sapere quali sono i termini della questione, questi intellettuali accesi da grottesco livore. E pensano che l’arcivescovo di Torino sia una specie di creatura sbucata dai meandri di un medioevo da cinema scadente. E pensano pure, ed è il loro solito errore e occorre che qualcuno li avvisi, che gli italiani siano scemi, che non sappiano che nessuno, nemmeno un padre, ha diritto a decidere di staccare l’alimentazione a una persona, pur se essa si trova al livello misterioso di vita. Altro che "rivoluzione di un padre", caro Saviano, abbia il coraggio che dicono non le difetti per dedicare il pezzo alla "morte procurata di una figlia". Sarà meno sentimentale, meno epico, meno applaudito nei salotti, però più duro e vero. Forse è successo quel che mi diceva un amico, non cattolico e da sempre vicino alle posizioni culturali di costoro: non li capisco più, hanno un livore che li acceca. Forse mirando la Chiesa come nemico riempiranno il vuoto ideologico di cui sono vittime dalla caduta dei miti politici e di lotta? O forse sono cresciuti troppo in autostima, e pensano che gli italiani debbano ascoltare solo loro? Forse vorrebbero essere loro i cardinali, i sacerdoti (gli ayatollah?) di questa società in cui non mancano riti, strumenti e 'chiese' che li venerano e onorano. E così come hanno in fastidio la nuda, indifesa vita di Eluana – in nome di astratti principi a cui danno nomi patetici di autodeterminazione (c’è un foglio scritto da lei?) – hanno in fastidio chi non si allinea al loro strepitante coretto. E come hanno in fastidio l’alterità, la presenza inquietante e poverissima di Eluana, hanno in fastidio chi si azzarda a ricordare che esistono la Costituzione e leggi più profonde e giuste di quelle del codice – come sapevano intellettuali degni di questo nome in ogni era umana. Come hanno in fastidio Eluana, hanno in fastidio chi ricorda che Dio c’entra con la vita. Gli italiani sanno distinguere. Capiscono che c’è qualcosa che non torna in questa faccenda dipinta con melassa e violenza da una parte di intellettuali sempre politicizzati, mentre medici e giuristi di varia cultura e indipendentemente dalla fede, sono ben più prudenti o d’altro avviso. E questo è lo scorno che forse li fa arrabbiare. Se ne vede il segno in quella domanda sospesa, come un moncherino, alla fine della ennesima tirata di Sofri. Quando, senza accorgersene, ripete la domanda che forse angustia le loro menti e che è necessario affrontare tutti, per conoscere veramente la vita senza rifugiarsi dietro l’occhiale d’ordinanza d’intellettuale schierato. La mano alzata contro il cardinale Poletto è in realtà un moncone che pieno d’ira chiede: 'ma io di chi sono?'