Nel 2010 il potere di acquisto delle famiglie è diminuito: poiché i consumi interni sono aumentati dopo la brusca diminuzione del 2009, la quota di risparmio è diminuita. Se anche qualche segnale di minima ripresa si vede sul fronte economico, così, su quello della famiglia i segnali restano negativi.La variazione al ribasso della quota di risparmio, infatti, non è un episodio congiunturale, ma è la continuazione di una tendenziale diminuzione in atto ormai dal 2002: si tratta di un dato strutturale che rispecchia le crescenti difficoltà economiche delle famiglie italiane, accentuate oltre che dalla crisi, dall’invecchiamento della popolazione. Un minore volume di risparmio rallenta a sua volta la dinamica degli investimenti delle famiglie e delle imprese, il che si traduce in minori opportunità di occupazione, soprattutto per i nuclei più giovani. Vi è il rischio che ciò determini il perdurare di un ristagno dell’attività produttiva, che purtroppo deve ormai archiviare il primo decennio del secolo con un deludente livello del prodotto pro-capite, nonché della spesa pro-capite delle famiglie, che nel 2010 sono stati inferiori al 2000: è stato un decennio perduto ed è cruciale riconoscere questo dato di fatto per uscire dalla spirale di torpore economico del Paese.Un’analisi del come le famiglie italiane stanno attraversando la crisi evidenzia forti disparità: le famiglie più in difficoltà, che registrano significative diminuzioni dei consumi, son quelle più giovani, al di sotto dei 40 anni, con 2 o più figli e con un medio reddito familiare. Si riconoscono, in queste caratteristiche sociali, le famiglie delle generazioni più giovani, con un reddito più incerto se non precario, ma che fanno del loro meglio per conservare le speranze sul futuro: questa è la fascia generazionale con il più elevato potenziale di dinamismo, essenziale per dare stabilità allo sviluppo della domanda e della produzione interna, a condizione di poter contare a propria volta su un orizzonte economico stabile. Ma questo è anche purtroppo il paradosso di un Paese che non riesce a valorizzare la risorsa più preziosa e scarsa e cioè l’enorme potenziale di sviluppo delle generazioni più giovani: l’aumento continuo del tasso di disoccupazione fra i giovani sfida la saggezza convenzionale di chi crede nelle virtù spontanee del mercato e richiama all’urgenza di una politica economica coraggiosa e senza facili scorciatoie. Come quella di contrapporre lavoratori giovani precari a lavoratori maturi e garantiti, sia perché molte delle certezze passate dei lavoratori maturi sono state travolte da una crisi economica strutturale sia perché si vuole così dimenticare che i lavoratori più anziani sono i padri di quelli più giovani e non si capisce quale sia il beneficio economico del giovane se il padre o la madre perdono il lavoro.Il Paese ha il bisogno di riprendere un cammino di crescita della produttività, ma superando il grande equivoco secondo cui ciò significa produrre sempre di più del medesimo oggetto in un’ora di lavoro. Il lavoratore tedesco guadagna di più perché contribuisce con la qualità del suo lavoro a produrre beni e servizi di elevata qualità: questa è la semplice ma fondamentale aritmetica del valore aggiunto per addetto. È fondamentale coniugare l’obiettivo di una riduzione del debito pubblico con la crescita economica, la produttività e l’aumento del potere d’acquisto, perché se così non fosse è fondato il rischio che alla riduzione del debito si accompagni una riduzione della produzione e soprattutto si perda, insieme a un altro decennio, anche un’altra generazione.