Non la scuola della violenza: ecco è il cuore del problema
domenica 26 febbraio 2023

Il pestaggio di Firenze a opera di giovani di destra e altri fatti Si sono susseguiti in pochi giorni (dal 18 febbraio) fatti gravi per la vita della scuola: il pestaggio davanti al Liceo Michelangelo di Firenze (la Digos ha segnalato sei giovani attivisti del movimento di destra Azione Studentesca), la lettera aperta della preside del liceo Leonardo Da Vinci, Annalisa Savino, la reazione del ministro Giuseppe Valditara avverso alla circolare della Preside.

Il fascismo è divenuto il catalizzatore delle attenzioni di molti. Il problema è più vasto e preoccupante: nella scuola (scholé, pausa, riposo, tempo liberato per le attività dello spirito) prolifera la violenza: contro i compagni, contro gli insegnanti, dagli insulti al mobbing, dal bullismo agli spari, alle aggressioni (anche dei genitori) ai docenti. Limitare l’analisi alla rinascita del fascismo (che pure vigoreggia) rischia di portare su un terreno già battuto e mostratosi sterile: non si guarisce, purtroppo, la violenza con le bandiere dell’antifascismo.

La violenza nelle scuole (non solo in Italia: anche in Francia e in Belgio son stati presi provvedimenti pubblici, aumentando – ad esempio – gli stipendi agli insegnanti che accettino di essere nominati in scuole particolarmente difficili) è il segnale di un male profondo che attraversa le famiglie e la società: la via spiccia del sopruso prevale sulle forme lente dell’ascolto e del dialogo. Il culto dell’efficienza e della competizione lascia dietro di sé molti “scarti”; cresce il fascino per i gifted, i plusdotati, a scapito di coloro che più faticano nello studio; aumenta la competizione anziché la cooperazione in classe.

Il processo educativo è delicato e suppone almeno tre princìpi: una rasserenante eguaglianza di possibilità di riuscita per tutti; un equilibrio, difficile ma essenziale, tra educazione (trar fuori il meglio che ciascuno in sé custodisce) e istruzione (formare con le nozioni e i saperi che la società e la storia consegnano alla scuola); l’accento costante sul valore del singolo e sulla necessaria fatica dell’apprendere. La scuola, ben prima che le tasse, è il luogo più equo e capillare di vasi comunicanti ove dovrebbero pareggiarsi le sorti dei futuri cittadini. Altrimenti essa non fa che sancire lo squilibrio di censo e di mezzi disponibili, divenendo una fotocopia sgualcita di una società violenta e che produce crescente divario tra le classi.

Lo osservava già Werner Jaeger nel monumentale libro, in tre volumi, Paideia. La formazione dell’uomo greco, ove sottolineava che pure nella Grecia classica «l’arte e la scienza furono sempre più esposte alla tentazione di curarsi soltanto dei pochi intenditori e di diventare esse medesime un’attività da iniziati».

E il resto? Rimane sui marciapiedi, preda dell’“esclusione organizzata” che si fa violenza. L’Italia sta dilapidando il proprio futuro: se vuole ancora averne uno degno, occorre che si investa di più sulla formazione degli insegnanti, sui laboratori scolastici, su classi-cenacolo e non plotoni (non più di venti allievi dunque per classe), in modo che gli studenti siano seguiti individualmente. E, chioso sommessamente, un ministro dovrebbe essere il miglior alleato e difensore dei propri docenti, non il loro avversario. Una ricerca di tre decenni or sono del BIT aveva certificato che gli insegnanti, come i soldati al fronte, sono i più esposti allo stress e al pericolo fisico. Il “come” sta sparendo, e la violenza che le nostre società secernono ha fatto delle nostre vite un campo di battaglia, senza diritto alla tregua.

La violenza, più che repressa, va guarita: come nel Barone rampante di Italo Calvino, ove il bandito Gian dei Brughi perde la rapidità a sparare perché ha assunto da Cosimo Piovasco di Rondò la meditata lentezza della lettura. Non più nuove imprese e rapine perché «io voglio finire Clarissa!», «Lasciatemi almeno finire il capitolo…». Non c’è violenza che non ceda alla fedeltà dell’affetto, del Bambino nascosto (regia Roberto Andò, 2021): ma ogni Ciro, in ogni anfratto della prevaricazione e dell’esclusione, ha bisogno della tenace sollecitudine del Silvio Orlando che è in ciascuno di noi.

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